Una settimana fa sembrava da marziani venire in direzione e chiedere le primarie per il premier e un profondo rinnovamento del gruppo dirigente (la questione annosa del limite dei mandati, annosi anch’essi). Molti delegati ci dicevano che l’avrebbero firmato, ma questa cosa delle primarie per il premier, insomma, sì, era una forzatura.

Una settimana fa sembrava impensabile discutere di un’«apertura» del Pd, della definizione di una sua coalizione e della possibilità di discuterne in tempi brevi. E con impegni chiari e precisi, come molti di noi (e quasi tutti gli elettori), chiedono da tempo.

Ora le scadenze che si è dato Bersani sono chiare: tre settimane per capire se c’è margine per modificare la legge elettorale (e per ora prevalgono i dubbi e resta ferma la richiesta di gennaio per la scelta diretta dei parlamentari da parte degli elettori) e l’assemblea nazionale d’inizio luglio per definire le primarie per la premiership (e altre questioni di carattere statutario, aggiungo io, anche sulla base del nostro ordine del giorno).

Per me è un bel momento, ve l’assicuro. Poi, certo, si vedrà. Ma noi ci saremo, e non staremo a guardare. La selva è sempre selva, insomma, ma è meno oscura. E il cammino prosegue. E anche se non lo ammetteranno mai, qualche ragione ci è riconosciuta, nell’ambito di questo strano dibattito.

Come sta dicendo ora Veltroni, «non è nel passato che troveremo le soluzioni future». Ecco. Preciso. Quasi come dicono a Cuneo.

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