Interessante dibattito sul basterebbe, che parte da Ilvo Diamanti e arriva ad Alessandro Gilioli.

Diamanti scrive:

Basterebbe che i principali partiti attualmente presenti sulla scena politica fossero in grado di rinunciare alle logiche oligarchiche e centralizzatrici che li guidano.

Basterebbe che offrissero maggiore spazio e ruolo ai dirigenti e ai militanti giovani, presenti e impegnati sul territorio. (Ce ne sono molti, nonostante tutto, ma vengono puntualmente scoraggiati).
Basterebbe. Ma non ne sono capaci. Così, avanza la richiesta del Nuovo-a-ogni-costo. Ormai, un mito, più che una rivendicazione. Travolge tutto. E rende la “nostra” Democrazia: “provvisoria”. La Politica e i partiti: inattuali.

Gilioli replica:

L’autoconservazione dell’oligarchia è diventata infatti il motivo stesso per cui quasi tutti i leader, i sottoleader e i peones ‘fanno politica’ in questo Paese. Quelli passano ogni giorno che Dio manda in terra a occuparsi proprio della difesa e della perpetuazione del loro status oligarchico: altro che «basterebbe».

E poi in nome di che cosa, oggi, gli oligarchi dovrebbero farsi da parte? In nome di un’idea politica che si sono pure dimenticati – da decenni – qual è?

E qui si viene al secondo punto della questione.

No, professor Diamanti, per recuperare prestigio e credibilità presso i cittadini non basterebbe nemmeno più che le oligarchie svaporassero. Perché – contemporanea alla volatilizzazione degli oligarchi – ci deve essere una proposta politica forte, che venga percepita come in grado di cambiare in meglio un Paese imbolsito dalle sue stesse schifezze: dalle spaventose iniquità sociali alla devastazione dell’ambiente, dalla subcultura dei privilegi alla negazione dei diritti civili.

Quattro italiani su dieci ormai sono convinti che chiunque vinca le elezioni non cambierà niente nelle loro vite, ha scritto sul mio giornale Roberto Weber. E’ l’effetto a lungo termine delle idee tiepide, proprio quelle con cui le oligarchie tentavano di non scontentare nessuno al fine di autoperpetuarsi ancora un po’.

Ma se non si esce da questa immensa (e giustificatissima) sfiducia verso la possibilità che la politica faccia davvero politica, nemmeno l’agognata dissolvenza delle oligarchie basterebbe più.

A mio modo di vedere, i due contributi non sono in contraddizione tra loro. Anzi. Invertirei solo i fattori: ssoltanto una nuova politica porta allo «svaporamento delle oligarchie». E a questo, credo, si debba lavorare. E a questo lavoreremo.

Ci diamo tempo fino alla fine di luglio, dopo i passaggi della direzione nazionale del Pd (venerdì prossimo), dell’assemblea dei circoli (23 giugno), dell’assemblea nazionale (6 e 7 luglio), e con una serie di appuntamenti che promuoveremo, come sempre, per tenere aperti la partita e il dibattito. E poi prenderemo una decisione. La decisione.

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