Prosegue il dibattito interno al Pd. Su Repubblica, autorevoli dirigenti parlano di un «patto di sindacato» tra D’Alema e Veltroni da «far saltare» e si spiega che «basta con l’Udc». Tutte cose che andavano dette un po’ di tempo fa, ma – come sempre – meglio ‘dopo’ che ‘mai’.

Quando le dicevamo «noi», cose più gentili di queste, eravamo considerati eversivi. E invece.

E invece il ricambio non si deve solo annunciare, indagare, promettere. Si deve praticare.

E Bersani, che si è impegnato coram populo perché i parlamentari siano scelti con le primarie (campagna partita da Prossima Italia e sostenuta da molti delegati), ci deve dire se sarà rispettato il limite dei tre mandati, per i big e per i peones (per capirci, perché le definizioni di questo tipo non ci piacciono). O se ci saranno le deroghe. E quante. E per chi.

Perché al di là della scelta del leader (per ora si sa solo che ci sarebbe Bersani, senza primarie), sarebbe interessante capire chi gli starà intorno. Che è il vero problema del centrosinistra, da sempre.

Se preferite, come scrivevo tempo fa, la domanda può essere rivolta proprio a quelli del patto di sindacato: vi ricandiderete? Ancora?

Così, per sapere. Poi, magari, nei ritagli di tempo, ci occupiamo anche di dire qualcosa.

P.S.: quanto al ricambio, per capirci: non si tratta di cooptare giovani che assomiglino agli anziani. Si tratta di rendere il campo contendibile. E aperto a tutti. Così il Pd vincerà sicuro. Se invece si affiderà a logiche interne, beh, allora, non ci resta che accendere un cero.

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