Ottimo pezzo, al solito, di David Allegranti.

Non ho la palla di vetro e diffido sempre di chi si mette a fare il futurologo in politica. Però alcune vittorie elettorali (da Firenze a Napoli, a Milano) sono arrivate proprio perché quei candidati si proponevano come una «disintermediazione». Resta ancora da capire se quel modello di candidatura possa funzionare anche fuori dalle città e, prima ancora, se possa essere applicato anche a movimenti che non vogliono leader ma al massimo dei portavoce.

Questo è esattamente il tema che la rete di in questa intervista, tempo fa.

Un partito che riconosca la propria parzialità e che accolga, ospiti (all’insegna di quella categoria del pensiero che dovremmo recuperare, leggendo Derrida, nel Paese dell’ospitalità), il dibattito di tutto ciò che gli si ‘muove’ intorno.

Che sappia trasformare questa energia in proposta politica, partendo da pochi e riconoscibili valori (sì, valori) di fondo.

E che sappia coinvolgere i cittadini, attraverso campagne di opinione e proposte politiche coerenti tra loro che sappiano mutare il quadro culturale che il Paese ci offre. E che lo sappia orientare, facendolo partecipare, mettendo il consenso dei molti a fronteggiare le lobby organizzatissime dei pochi.

Che riparta, proprio come deve fare il Paese, dai propri errori e ritardi. Che ce ne sono. E parecchi.

Che concepisca l’antipolitica come richiesta di nuova politica, soprattutto. E che, per favore, non la chiami più così.

E che però sappia offrire un luogo del dibattito organizzato, trasparente, che porti a decisioni condivise dai più, non ad un vago assemblearismo. Che a livello nazionale è un po’ complicato. E rischia di lasciare le cose come sono già.

La partecipazione va organizzata: bisogna aprire le porte, togliere le ragnatele, allestire la sala, e iniziare a discutere. Sapendo poi che l’obiettivo è uscire, vivi e appassionati, da quella sala, per andare a raccontare a tutti quello che si è deciso di fare.

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