Sto molto riflettendo sullo sguardo, in questi giorni.

E mi è tornata alla mente una pagina di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, libro a cui sono molto affezionato (la pagina è la 97).

Assistente era uno con cui si poteva parlare. Era facile intercettarlo davanti ai distributori automatici di caffè e merende, in corridoio, che conversava sempre di buon umore, gesticolando parecchio, di fatti appena accaduti, del saggio da aggiungere al programma per ottenere due crediti in più.

Nella malinconica categoria degli assistenti universitari, aveva tutta l’aria di rappresentare un’eccezione. Non aveva particolari stempiature, né quel tono sempre scostante o indispettito che subito l’avrebbe reso assimilabile ai suoi colleghi. Sembrava, intanto, dotato di una vita privata; e sembrava perfino leggero: con il suo corpo tonico, le sue camicie a quadri o le polo, i jeans chiari e un po’ stretti. Piaceva. A femmine e maschi, quasi indistintamente. Piaceva che si rendesse disponibile e che rispondesse alle mail. Piaceva che non fosse inutilmente ostile.

[…]

C’era una novità. La sua candidatura nelle liste del Partito democratico in vista delle elezioni europee.

Si sarebbe rivelata un fallimento, ma il suo sguardo stava già cambiando. Difficile dire in che cosa fosse diverso ma, sì, era diverso. Era lo sguardo di uno che ha sempre fretta, che è costretto a cogliere all’istante l’essenziale, cioè l’utile, e tutto ciò che non rientra in questa categoria rifiuta oppure ignora. Era uno sguardo distratto, disancorato, lievemente in allarme.

Era già lo sguardo di un politico.

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