Ivan Berni, dalle pagine milanesi di Repubblica, si chiede, giustamente: ottimo il sit in promosso da Civati e altri, ma poi cosa succederà?

Vorrei rassicurare tutti. La piazza di sabato scorso è stata solo l’inizio. Un momento in cui trovarsi per lanciare una sfida, che sappiamo complessa e forse non così immediata (le dimissioni di Formigoni le deve dare Formigoni, che per sua natura tende a non darle, come abbiamo potuto rilevare in queste ore). Che ha un valore inestimabile, sotto il profilo politico, perché ci parla di un cambio di stagione che riguarda la maggioranza in Regione, ma anche la stessa politica. Fin dalle sue fondamenta, fin dalle sue strutture, fin dalle sue modalità e dal suo stile.

Alcune cose vanno velocemente ricordate.

Per prima cosa, la piazza di sabato era una piazza plurale. E unita. Tra forze politiche istituzionali, soggetti civici, movimenti e associazioni. E il Pd non è arrivato tardi, il Pd c’era e si è anche trovato bene, all’aria aperta, più di quanto non gli capiti al chiuso delle stanze del Palazzo.

Soltanto così, senza dire male di questi o di quelli e senza voler escludere alcuno di questi soggetti, ma cercando occasioni di incontro e approfondendo relazioni e rapporti, come da anni ripeto ogni volta che posso, il centrosinistra potrà giocare la partita. In Lombardia e nel Paese.

In secondo luogo, e seguiamo i consigli di alcuni veterani, sappiamo benissimo che Milano e la provincia lombarda non sono la stessa cosa. Anzi, siamo stati tra i primi a ricordarlo. E che una campagna politica e culturale insieme va articolata in modo diverso a Sermide e a Varese.

Per altro, è già stata lanciata una campagna istituzionale delle forze di opposizione, partita giorni fa, che accompagnerà la mobilitazione che già c’è, e che non va dimenticata, che è quella delle elezioni amministrative di maggio. Dove il centrosinistra ha il dovere di dare il meglio di sé e dare un segnale forte e chiaro in tutte le plaghe del territorio lombardo.

E ancora c’è il lavoro, su cui il Pd per primo è impegnato, di riflessione, di indagine e di denuncia del sistema di potere formigoniano, sulla sua concezione del potere e sulla gestione di esso. Che riguarda piccole e grandi cose, dalle nomine all’urbanistica, dalle infrastrutture alla trasparenza, dai controlli alla qualità della futura classe dirigente.

E c’è la sfida lanciata (anche attraverso il debunking, lo chiamerebbero ad altre longitudini, delle altisonanti dichiarazioni di Formigoni), per affrontare la vera sfida, che è quella sulla qualità dell’azione amministrativa, sulle prospettive politiche e sulla qualità del governo lombardo. Perché qui di “eccellenze”, “modelli” e “record” si sta soffocando.

Insomma, c’è la cultura dell’etica pubblica, c’è la mobilitazione, c’è la sfida di governo. E c’è anche l’idea di fare tutto questo in modo partecipativo, provincia per provincia, perché la Lombardia tutta insieme è troppo grande e va unita solo alla fine del percorso, da un grande progetto politico. Un percorso che non può che avvenire attraverso il concorso di forze diverse, della società civilissima, del mondo delle imprese che chiedono la libera concorrenza (che oggi non c’è), dei cittadini che credono che non ci siano alternative, in Lombardia, se non le alternative stesse a quello che abbiamo visto per troppi anni.

Alternative da trovare insieme, valorizzando quello che di buono c’è. In molti casi, nonostante Formigoni e nonostante la politica regionale.

Senza fare i primi della classe, senza partire dai soliti politicismi, e da chi farà il candidato presidente. Perché il candidato presidente, sulla base di un progetto politico il più possibile condiviso, lo sceglieranno i lombardi.

L’unica soluzione precostituita, lo ricordo a tutte e tutti, è Roberto Formigoni. Che resisterà con tutte le sue forze. E noi, nel frattempo, dobbiamo solo (solo?) fare le cose che servono per battere chi verrà dopo di lui.

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