Prosegue la #scontrinoweek, e dai controlli nel mondo della notte di Milano emerge che “nero chiama nero”: chi non fa lo scontrino (e pare si tratti di uno su tre, e non venitemi a dire che ci sono gli studi di settore, perché pare tarocchino pure quelli), poi magari nel retro ha il ‘clandestino’ che lavora.

Un ‘clandestino’ che ancora una volta si vede benissimo e che sarebbe meglio chiamare “lavoratore straniero in nero” (il gioco di parole potrebbe prestarsi ad equivoci, ma non fateci caso: non è il momento di fare gli spiritosi).

Il ‘clandestino’ è abile: si introduce nelle cucine furtivamente, nottetempo pulisce piatti e porta fuori la spazzatura, sotto mentite spoglie lavora gomito a gomito con il principale che gli dà del tu. E che lo prende a lavorare con sé non per via del cosmopolitismo dei locali della movida, ma perché lo paga meno e perché il ‘clandestino’, per sua natura, non compare nei documenti contabili.

Ecco, da questi controlli si capiscono molte cose. E si fa un po’ di luce sulla notte in cui tutti i clandestini sembrano tali, ma qualcuno di sicuro li vede, li sceglie e se ne approfitta. Penalizzando tutti, italiani e stranieri.

Invece di invasione, in questi anni, avremmo fatto meglio a parlare tutti di evasione. E avremmo risolto parecchi problemi. Quasi tutti.

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