Anno Domini, ma anche Anno Digitale.

Perché più passa il tempo, e più si discute di manovre spread tagli infrastrutture sacrifici, più mi rendo conto che la parola del 2012 deve essere “innovazione”. Non quella da convegno, per capirci, non quella per gli addetti ai lavori (che poi non si capisce bene che lavoro fanno) ma quella cambia la vita ai cittadini.

Perché siamo tutti pronti a iscriverci su Facebook e ad usare la tessera del supermercato e troviamo invece difficile anche solo a immaginarsi la centralizzazione delle fatture (nella proposta di Stefano Quintarelli e Francesco Sacco, o nella versione del “Fisco 2.0” di Ernesto Ruffini)? Perché la banda larga è ancora tema da politica sgarzolina e non è considerata un’infrastruttura come le altre, anzi prima delle altre (altro che tunnel, insomma, anche nella versione Gelmini, per capirci)? Perché la connettività in tutto il territorio nazionale (e tra tutti i territori della nazione) è stato un argomento solo lambito dalla retorica dei 150 anni (quelli che ci metti a connetterti, in alcune località del Paese)? Perché non ci si rende conto che gli Open data sono i veri nemici della cattiva politica e la trasparenza l’unica soluzione per cambiare la Pubblica Amministrazione?

Ecco, che il 2012 sia l’anno digitale, in cui l’Italia diventa il Paese dell’innovazione. Più degli altri, perché ora lo è meno. Più degli altri, perché ha meno degli altri. E perché è già troppo tardi.

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