Alessandro Robecchi ha scritto un libro gustoso. Si chiama Piovono pietre. Cronache marziane da un paese assurdo. Lo pubblica Laterza.

La prima parte, dedicata al «sono sereno» dei politici (espressione che usano soprattutto quando vengono sorpresi a fare le cose più tremende), è spettacolare. Ed è di grande attualità. Come lo è anche l'ultima, quella dedicata agli elenchi e alle liste della spesa.

Alle dieci cose per cui vale la pena vivere, come insegnava Cuore, di cui Robecchi è stato giovanissimo redattore. Che tutto sembra diventare priorità (in quale posizione? Prima questo o prima quello?), con il rischio che alla fine si imponga sempre la «figa». Mentre la priorità è ritrovare un senso. E un progetto. Che non c'è. E anche quando c'è, si fa finta di non vederlo.

Non male, va detto, anche il capitolo che Robecchi dedica al Moderato Perfetto, chimera della politica italiana da sempre. La parte che apprezzo di più è però un'altra ancora. Quella dedicata al famoso «territorio», che i 25 e-lettori di questo blog ormai conoscono molto bene. Il territorio e la sua «piacevole retorica» del «radicamento», con quel riferimento localistico che toglie il respiro. Finisce, nota Robecchi, che è il territorio stesso a ribellarsi. Esonda, straripa, si consuma nel cemento. E reagisce. «Finché ce n'è».

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