E’ la scritta che campeggia su una delle tante t-shirt in vendita a due passi dalla Trinity United Church of Christ, sulla Novantacinquesima strada, nell’immensa distesa di casette a sud di Chicago. Obama vi è ritratto insieme a Martin Luther King e Malcolm X. La chiesa non è una chiesa qualsiasi, ma il centro religioso del reverendo Wright, dove la funzione, questa mattina, è tenuta dal pastore che gli è succeduto, Otis Moss III. E’ la chiesa di Obama nel South Side, che tanta parte ha avuto nella formazione del giovane Barack, nel quartiere dove, tra l’altro, è nata sua moglie (confrontare qui). Il candidato presidente ha dovuto, negli ultimi mesi, prendere dolorosamente le distanze da questa comunità, una comunità “orgogliosamente nera” e inevitabilmente radicale, ma è evidente che una parte fondamentale della sua storia nasce qui. Ed è scritta sui volti degli afroamericani che affollano la chiesa per la cerimonia, durante la quale è più volte ricordata l’importanza del voto, per compiere – «We, the people» – «the long journey toward a more perfect union», c’è scritto nel bollettino distribuito ai fedeli che sembra un volantino di Obama. Non tanto per compiacere il candidato democratico, che in molti portano appuntato sul bavero della giacca, e che tutti voteranno (o hanno già votato), ma perché queste parole di Obama sono anche, da tanto tempo, le loro. Dall’altare (un podio basso, al centro della scena, che non può non ricordare i palchi obamiani) si invita al voto di martedì, all’insegna del ricordo degli antenati, della responsabilità e della reclamation, per la promozione dei diritti di una popolazione che ha ancora un sogno che pretende finalmente di vedere esaudito. Pensare che Obama, ragazzo, abbia mosso qui i propri passi, immaginarlo seduto qui a pregare insieme ai fedeli della Trinity United Church, spiega molto del suo linguaggio, del suo approccio, della straordinaria capacità di parlare a una comunità e di saperla rappresentare. Una capacità che Obama arricchisce, da una parte, con la dimensione globale che emerge fin dalla sua biografia, e, dall’altra, con la sua carriera accademica e con il suo impeccabile cursus honorum. E’ da questa miscela che si ottiene il candidato presidente più affascinante degli ultimi quarant’anni, e si comprende, ascoltando il sermone, quale sia l’importanza del tema religioso in questo paese, che per la prima volta dopo tanti anni di lontananza e di freddezza da parte dei Democratici, Obama ha saputo interpretare, nonostante i sondaggi dicano che il gap a favore dei Repubblicani sia, da questo punto di vista, ancora molto alto. E’ commovente tornare in città, nell’audace speranza che l’improbabile candidato possa festeggiare, tra qualche ora, la propria elezione. L’immenso spazio del Grant Park, in barba a tutte le convenzioni e le scaramanzie, è già addobbato per la notte del 4 novembre. We hope.

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