Lo scriveva ieri, su Repubblica, Guido Carandini. Avevo scritto qualcosa di simile qui.

Occorrerebbe allora che la nostra “sinistra”, invece di implorare inutilmente un “passo indietro” di altri, si decidesse a fare essa stessa un “passo avanti” muovendosi nel solco delle nuove forme di protesta. E quindi collaborando a suscitare nelle centinaia di migliaia di indignati nostrani – compresi magari quelli che hanno votato per la Lega e il Pdl – la volontà di radunarsi nelle piazze per mostrare al mondo che oltre alla Confindustria e alla Chiesa di Roma c´è una vasta opinione pubblica che chiede la fine dell´ignominia berlusconiana.

È urgente farlo perché la rivolta non-violenta, oltre un certo punto, può tramutarsi come a Londra in tumulto facinoroso e barricadiero, con somma gioia della destra pronta a opporgli una dura reazione delle forze dell'ordine e severe sanzioni giudiziarie. Sarebbe un'altra pesante sconfitta della democrazia che, insieme ai rivoltosi, finirebbe anch'essa imprigionata dall'ingiustizia che non ha saputo combattere, dallo squallore di miserabili periferie che non ha voluto scongiurare, dalla corruzione privata e pubblica che non ha contrastato e che porta gli scontenti a rinunciare al diritto di voto.

A questo punto i politici devono rendersi conto di almeno due cose. La prima è che la crisi più devastante che sconvolge i nostri Paesi è questa sfiducia nella democrazia rappresentativa del capitalismo, perché ne corrode l'anima più avanzata. Quella che aveva saputo affiancare gli anticorpi della solidarietà e della compassione sociale alla logica del profitto e al cinismo del potere. La seconda è che ormai l´invenzione di una democrazia alimentata da nuove idee, da nuovi progetti, da nuove regole di partecipazione, non può più spettare a degli eletti con procedure sempre più lontane dalla volontà e dai bisogni dei cittadini.

Se quell'invenzione germoglierà, questo avverrà sempre meno per il carisma personale o il talento politico di singoli personaggi ricchi e potenti, e invece sempre di più per la saggezza collettiva di cittadini che, spinti nelle piazze dai loro bisogni manifestati e condivisi «in rete», nei social network, dovranno prima deliberare come soddisfarli e da chi farsi guidare, e solo dopo andare a votare.

Questa, possiamo augurarci, sarà la democrazia del futuro, ben diversa dalla dittatura di maggioranze servili e di piccoli cortigiani, “vil razza dannata” come li chiamava il Rigoletto, che corrompono la politica inchinandosi al potere del denaro.

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