Oggi, sulla Stampa, Federico Geremicca spiega perché l'Udc andrà a destra. E dice che il Pd dovrebbe prenderne atto, anche perché corteggiare un possibile avversario, accreditandolo come leader, potrebbe essere molto pericoloso.

Lo scrivemmo più di un anno fa. Speriamo che lo leggano, almeno ora.

Le difficoltà dell’area cattolica del Pd a «digerire» una tale soluzione sono del tutto comprensibili: la caccia al sempre inseguito «voto moderato» (se non proprio cattolico) si farebbe infatti assai difficile. Eppure, se la scelta del Terzo polo va maturando nella direzione che si diceva, forse converrebbe prenderne atto per tempo, provando almeno a valorizzarne le conseguenze. La prima è certamente una maggior chiarezza strategica da trasmettere agli elettori: fine, insomma, dell’imbarazzante ritornello «vi diremo poi con chi ci alleiamo», che è uno dei limiti maggiori delle forze oggi all’opposizione. La seconda potremmo definirla un atto di fiducia (in condizioni di necessità, certo) verso quello che viene di solito chiamato il «popolo di sinistra».

Pochi mesi fa, dopo l’esito delle primarie in città come Milano e Cagliari (dove i candidati cosiddetti «radicali» sconfissero gli alfieri del Pd) o dopo il risultato del primo turno a Napoli (con De Magistris al ballottaggio al posto del favorito Morcone), vennero intonati molti «de profundis», perché le partite sembravano inevitabilmente perse. Fu invece un trionfo, col centrodestra scompaginato nelle sue roccaforti (Milano) e battuto in città già date per conquistate (Napoli). Ora, naturalmente, una cosa è vincere (per di più delle elezioni amministrative) e un’altra è riuscire a governare, come testimoniò l’ultimo esperienza di Romano Prodi. Ma intanto, banalmente, è sempre meglio vincere che perdere. E soprattutto, se la via dell’alleanza elettorale col Terzo polo si va tramutando sempre più in una chimera, tanto vale – forse – prenderne atto, smetterla di inseguire fantasmi e rimboccarsi le maniche, piuttosto, in vista di quel che sarà…

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