Marco Imarisio segue i movimenti da tempo. Il suo libro, La ferita, è un testo di riferimento per chiunque volesse saperne di più, del "momento magico" che andò perduto in quella bufera infernale che spazzò via i sogni di una intera generazione, da Genova in poi.

La questione da porsi ancora una volta, per Imarisio, è quella della piazza e della sua organizzazione e gestione, che da sempre accompagna qualsiasi dibattito sui movimenti.

Imarisio si sofferma sul paradosso di questo passaggio politico e sociale: da una parte, "non c'è più un movimento come allora", che radunava 780 sigle diverse, "tutto si è frammentato" ed è difficile immaginare oggi una sintesi tra le diverse anime che compongono la costellazione dei movimenti. Dall'altra, c'è "una debolezza ancora più forte della politica" e "un urto ancora più violento della globalizzazione sulla vita delle persone". E c'è la piazza, ancora vuota, che può tornare a riempirsi, perché le "pentole a pressione sociale" sono numerose e per molti versi sconosciute.

Parliamo di "Uniti contro la crisi", ma anche delle occasioni mancate e dei tentativi andati a vuoto, in questi anni, perché i movimenti trovassero una via verso la rappresentanza politica e le sue istituzioni. Ci soffermiamo, allora, su quello che accadrà in questo autunno che inizia e che non si sa dove ci porterà. Con l'infausto presagio del "morto che ci scappa" che accompagna il dibattito pubblico, in queste ore in cui la politica è stravolta e inconcludente.

Al caso italiano si deve associare la tensione che si respira in tutta Europa, in un contesto difficile, pieno di frustrazione e "rabbia greca", come la definisce Imarisio, che riguarda i più giovani (e non solo) in modo diffuso e decisamente sottovalutato da parte della politica e delle forze sociali.

Imarisio ne aveva scritto in occasione del decennale di Genova (Corriere della Sera, 23 luglio 2011): "Il black bloc fa comodo a tutti, è il cassetto dentro al quale chiudere realtà che non si vuole vedere. Una delle ragioni per le quali si sfaldò il movimento di Genova fu proprio la divergenza sul modo di manifestare il dissenso, le pratiche del conflitto". Ciò vale, per Imarisio, anche per la Val di Susa, perché "parlare ancora di «frange violente», dopo il ritorno dei black bloc, allontana da una protesta pacifica, quale è in gran parte quella contro la Tav, il consenso della gente comune".

Il punto di caduta e la preoccupazione più grande è un'altra, però: "C'è un'altra ragione che sconsiglia una adesione acritica a certe forme di lotta. Black bloc è ormai il ragazzo laureato che al bar sta dietro la macchinetta del caffè e sente di non avere un futuro decente davanti a sé. La crisi economica sta producendo una rabbia «greca». Le piazze sono sempre più difficili da governare, lo dimostrano Chiomonte, e gli scontri di Roma dello scorso dicembre".

Dall'altra parte della barricata, e l'espressione non è affatto metaforica, troviamo una politica che fa fatica, che non è credibile, che non sa interpretare il conflitto sociale e che non si prende cura del disagio che monta. E della sua manifestazione.

Non ci si può certo limitare a un appello rigoroso perché sia governato l'ingovernabile, rivolgendosi a chi la piazza intende prendersela e manifestare il proprio dissenso, nel momento più difficile, sotto il profilo sociale ed economico, da cinquant'anni a questa parte. Come allora, e come si suol dire, "la politica dovrebbe prendere in considerazione le istanze del movimento". Allora la poltiica fallì, clamorosamente, e negli anni successivi continuò a prestare un'attenzione minima nei confronti dei fenomeni che montavano, come un'onda (anzi, proprio come l'Onda), nella società italiana.

Rileggere gli ultimi dieci anni, da questo punto di vista, potrebbe essere necessario per cercare di interpretare meglio i prossimi, facendo tornare la politica fuori e dentro il palazzo, nelle strade e soprattutto nelle piazze del nostro Paese.

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