L'analisi del Bersani lottatore di sumo è fondata. Ormai il Pd si divide tra coraggio e tenuta, reciprocamente rappresentati come irresponsabilità e inciucismo. La verità è che due filosofie si confrontano: i 'coraggiosi' pensano che il problema riguardi la cultura politica di fondo, i 'tenutisti' (che qualcuno vorrebbe 'tenutari') pensano che la chiave sia più politicista.

I primi chiedono un cambio di passo, di fronte al crollo verticale di credibilità e alle divisioni della destra, i secondi non si fidano e puntano ad un allargamento della coalizione (o, addirittura, in un suo radicale cambiamento) che guardi anche alle forze di destra che si sono dissociate da Berlusconi.

C'è, insomma, chi crede che sia venuto il momento di lanciare la sfida politica e culturale che chiuda il quasi ventennio berlusconiano e chi pensa che il ventennio berlusconiano si chiuderà in un secondo momento, dopo una fase di transizione.

Ecco allora il governo tecnico come madre di tutte le battaglie, perché il momento è «pericolosissimo» e «votare sarebbe un disastro», come ha detto ieri Bersani intervistato dall'Unità e come ripetono quasi tutti i dirigenti del Pd. I quali si dividono soprattutto su formule e durate, ma non sul governo tecnico in sé. C'è chi, come Franceschini, parla di un anno, chi si spinge a immaginare un governo tecnico (ma sempre più politico) che arrivi al 2013, chi crede che debba essere presieduto da Pisanu o da Tremonti, ovvero da un esponente del Pdl: da un berlusconiano senza Berlusconi.

Le ragioni del «pericolo pericolosissimo» sono per alcuni il sistema elettorale, per altri la situazione finanziaria. E, per quanto riguarda la coalizione, per molti esponenti del Pd l'alleanza con Idv e Sel (che sarebbe quel «nuovo Ulivo» di cui Bersani parlò nella sua lettera di agosto), d'un tratto, non va più bene. Qualcuno dice che sarebbe come rifare il Pci (boh). Altri sostengono che non si vincerebbe, nemmeno con la costituzione di un Terzo polo e tanto vale sparigliare e guardare al centro (per qualcuno, anche al centrodestra).

La manifestazione dell'11 dicembre nasce sotto la stella della tenuta ed è un po' curioso notare che la piazza democratica sia mobilitata dal segretario nazionale per promuovere una linea politica di transizione e non di attacco, che mette in conto anche uno scivolamento elettorale (che stiamo puntualmente registrando: il Pd è dato tra il 23 e il 25%) e che non nasconde che l'elettorato di centrosinistra si può anche dividere (come se fosse una cosa facile). In attesa del 14 dicembre, l'Armageddon, è un'altra cosa strana che ci tocca interpretare. Lo slogan della manifestazione per la transizione potrebbe essere: «yes, we trans».

Nessuna mossa, come quelle che auspicavamo, di leadership verso la premiership, da parte del segretario. Nessuno slancio elettorale, anzi, la sua negazione. E la rassicurazione, per tutti coloro che già siedono in Parlamento, che la sfida è rimandata e che non c'è alcun motivo di preoccuparsi.

Vorrei dire, per l'ultima volta, perché i nostri appelli cadono puntualmente nel vuoto, che questa non-strategia è a sua volta «pericolosissima». Che non sono d'accordo con il liquidare l'alleanza tradizionale per avventurarci verso un 'centro' che vuole, in realtà, sostituire Berlusconi, e che potremmo trovare vuoto (vorrei anche capire perché sarebbe 'innovativo' allearsi con i 'conservatori', forse qualcuno me lo spiegherà). Che il Pd sta perdendo voti e il calcolo politico, alla fine, potrebbe rivelarsi molto sbagliato. Che non mi pare corretto, né legittimo immaginare un governo tecnico di questo tipo, che in realtà è politico e che durerebbe chissà quanto. Che il Pd non può dire, come ha ripetuto Bersani, che dobbiamo «ristrutturare» il campo del centrosinistra (che appare, dice Bersani, addirittura «dissociato»), perché avremmo dovuto farlo già, pretendendo un confronto vero con Di Pietro e Vendola, prima di tutto, e non limitarci alle schermaglie di questi mesi. Che il fatto che il Pd arrivi impreparato o parzialmente preparato a sfide come quelle di Bologna e Torino, ci dice che i problemi sono tanti e andavano affrontati, sfruttando i sei mesi di crisi della destra. Che il Pd sta promuovendo la dissoluzione del bipolarismo, infine, ed è un fatto che contraddice il lavoro degli ultimi dieci anni.

Il lottatore di sumo che ha ormai introiettato questo modo di pensare rischia di rimanere fermo al palo, quando le cose si muoveranno. E saranno velocissime. E noi le rincorreremo.

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