Non deve sorprendere che la vicenda di Adro stia così colpendo l'immaginario dei cittadini, risvegliando anche qualche coscienza democratica un po' assopita, che come dice qualcuno ha inteso il «rimbocchiamoci le maniche» pensando fosse il «rimbocchiamoci le coperte». In una direzione e nell'altra, s'intende: è l'Italia dei simboli, del resto, come qualcuno sostiene da un po'. E lo è sempre stata, l'Italia, così, più di altri Paesi, pensando anche all'altro ventennio, che di simboli (e di bravate e di cattiverie) si nutriva.
E succede che altri si preoccupino, di una cosa piccola, forse una bravata (appunto), che la dice lunga sul clima che c'è. La bandiera sulla rotonda (e dove, sennò?) di Condove, in provincia di Torino. Mi scrive Jacopo dalla Valsusa:
Ieri mattina alle 9.15 mi telefona un mio amico e mi chiede se a Condove siamo diventati tutti leghisti o semplicemente scemi. Mi racconta che ha visto sul lampione che c'è in mezzo alla rotonda della piazza, una bandiera della Lega. Gli dico che non ci credo, che forse ha visto male. Lui mi dice che ci vede benissimo e mi chiede di fare qualcosa.
Essendo al lavoro, telefono ad un paio di compagni che so essere in paese e mi faccio dire se questa storia della bandiera è vera o no. Mi confermano che è tutto vero e che ci si deve attivare per farla togliere. Alle 11 telefono ai vigili urbani del paese e gli dico che la bandiera o la tolgono loro o la andiamo a togliere noi.
Alle 12 il drappo leghista non c'è più. Scampato il 'pericolo', alle 19 ci troviamo in una ventina e scambiarci qualche opinione sull'accaduto. Il primo pensiero va ad Adro. «Oggi la bandiera, domani la scuola come quelli la di Brescia» mi dice una signora. Un mio amico invece dice «Questi qui, solo perchè han vinto il comune dopo 35 anni, credono di fare quello che gli pare». Essenzialmente questa storia della bandiera credo che sia stata una ragazzata. Magari qualcuno un pò più bevuto o un pò più esaltato del solito ha voluto fare il figo, arrampicandosi su un lampione per mettere una bandiera. Magari invece no. Noi nel dubbio ci siamo mossi e la bandiera non c'è più.

Il problema è di mettere le nostre, di bandiere. Non nelle scuole, e sulle rotonde. Ma nella testa delle persone, come diceva Engels, qualche millennio fa. Perché la politica si fa così. E però le parole devono seguire le cose. E viceversa. La differenza tra buona e cattiva politica è questa cosa qui. E una scuola con i simboli di un partito e il maiale obbligatorio è proprio la migliore rappresentazione di tutto quello che va contro l'integrazione e lo spazio comune. Da condividere.
E i simboli positivi ci sarebbero anche, ad esempio, se si raccontassero le storie delle famiglie dei bambini che a Adro e a Condove e a Monza e dove cavolo volete vanno a scuola. Storie di lavoratori, storie di libertà. Storie di carriere scolastiche, che sarebbe bello completare, perché l'abbandono scolastico, in certe zone, c'era prima dell'arrivo degli stranieri. E storie di insegnanti e di persone che hanno a cuore la vita delle istituzioni che rappresentano. Non perché sono le loro, ma proprio perché sono quelle di tutti.
E se ci daranno dei «buonisti», rispondiamo che le cose stanno diversamente. Che certe cose sono «stronze», «cattive» e contrarie al bene comune. Dall'accusa di buonismo alla denuncia dello stronzismo, per capirci, dovremmo passare. Senza troppe paure. Proprio per non essere snob, come ha chiesto Bersani a Torino. Ma anche per rimanere seri. E responsabili, di fronte a simili sciocchezze, che fanno male a qualcuno e, indirettamente, a tutti.

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