Il titolo del pezzo di oggi per l’Unità, nell’ultima tappa del viaggio di Ippolito e dell’unità. Qui di seguito il primo contributo siciliano, in attesa del gran finale.
«Qui non si va né avanti, né indietro»: l’unità, la scuola e le camicie rosa
Un Paese che ospita Cefalù non può essere triste. Rileggo i miei appunti ai piedi della cattedrale, tra turisti francesi e spagnoli. C’è un sole giaguaro e un caldo torrenziale. Per il poncho garibaldino, le temperature sono troppo elevate. Va bene una t-shirt.

È un’insegnante precaria, Caterina Altamore. Mi parla dello sciopero della fame iniziato una settimana fa a Palermo da parte di tre colleghi. Uno è stato ricoverato la scorsa notte. Caterina è la dimostrazione vivente che gli statali e gli insegnanti non sono tutti fannulloni, come piace a qualcuno. Ha insegnato per un anno a Palazzolo sull’Oglio, Brescia. Molto lontano da casa sua e dai suoi affetti. Mi parla della difficile interlocuzione con il mondo della politica, «con chi di dovere»: Lombardo aveva promesso un anno fa un tavolo di confronto, che però non è mai stato aperto. E i partiti spesso sembrano distanti.

Mila Spicola è stata un mese a Roma a preparare il Forum della Scuola del Pd, che si terrà a fine agosto. Dice che finalmente il partito è tornato a occuparsi di scuola, dopo una lunga assenza. Del resto, il nostro problema, in generale, è che ci preoccupiamo troppo di noi stessi: «se sprechi le energie al tuo interno, poi ne hai poche da dedicare ai cittadini».

«La scuola s’è persa», dice Mila. E c’è bisogno di una presenza della politica, ancor più importante delle «azioni eclatanti». C’è bisogno di un’attenzione speciale. Ci sono dieci milioni di cittadini che vivono di scuola. Un milione di insegnanti e nove milioni di studenti, dice Mila. «Li possiamo abbandonare?».

Lei si occupa soprattutto dei «nativi digitali», perché i ragazzi di oggi vivono in un “mondo nuovo”, da cui non possiamo prescindere. Ma poi mi dice che la sua preoccupazione maggiore, per l’anno scolastico che inizia, è avere in classe un bambino che soffre di autismo che non può avere il sostegno. Si chiede come farà. Ce lo chiediamo anche noi.

Mila mi parla della necessità di «una politica del sottovoce», attenta agli argomenti e non alle chiacchiere da talk show. Ne sente un gran bisogno, come tutti. Parla di «valore sociale del silenzio» e dell’urgenza di una riflessione più seria. Eppure quel silenzio dovrà farsi sentire, nei prossimi mesi, se, come pare, le cose dovessero precipitare verso nuove elezioni. Dovremo trovare il modo di argomentare, di non farci “avvelenare i pozzi” dalla solita canea e dalla confusione di cui la politica italiana sembra non riuscire a liberarsi. Un dibattito pubblico urlato, superficiale e, spesso, volgare. Da superare di slancio.

La scuola è mobilità sociale e cultura. È libertà e cittadinanza. È un tema che riguarda certo gli insegnanti e gli studenti, ma allo stesso modo la società nel suo complesso. Averlo dimenticato, da parte nostra, è stato un grande errore, averlo negato uno dei grandi ‘crimini’ del berlusconismo. E l’Italia è l’unico Paese del mondo occidentale che in tempi di crisi abbia tagliato sulla formazione e sulla ricerca. E la cosa però sembra non sorprendere nessuno. Forse questa battaglia di civiltà l’abbiamo già persa.

C’è un sacco di cielo a Pollina. Dal castello e dal teatro all’aperto si domina la Sicilia. Il mare, le Madonie. Quando fa bello, anche l’Etna. Il sindaco è Magda Culotta. Ha venticinque anni. Ti richiama dopo aver ricaricato il cellulare. Le mancano due esami della specialistica. Studia anche di notte. Dice che vuole finire, perché altrimenti avrebbe paura di non terminare il corso di studi in economia e sviluppo locale. Quando l’hanno candidata, però, ha accettato. E sembra davvero entusiasta di averlo fatto.

Le piacciono i «giovani dentro», perché ci sono ventenni che esprimono «una politica che risale a due generazioni fa». Vuole estendere la raccolta differenziata e riportare la gestione dell’acqua in mani sicure (e pubbliche). Parla con competenza di barriere architettoniche e di efficienza energetica. Le piacerebbe avviare l’esperienza dell’“albergo diffuso” nel fantastico borgo di Pollina. E ci fa venire voglia di visitare il ‘suo’ territorio.

Dice che guarda alla politica nazionale con rispetto e quasi con soggezione, «in punta di piedi», anche se le dispiace che il Pd a volte appaia così «sgretolato». Si prepara alla «festa della manna», una sostanza che si ottiene da incisioni nella corteccia dei frassini. Una ‘specialità’ locale, che serve per i dolci e per i medicinali. Magda intende valorizzarla, la manna. E una manna deve essere sembrata ai cittadini di Pollina, 3000 abitanti, la candidatura di una giovanissima, dopo dieci anni di governo di una lista civica vicina al centrodestra, «abitudinaria» e ferma all’«ordinaria amministrazione». Più di seicento voti andati da una parte all’altra e, finalmente, la vittoria dei ‘nostri’. Magda è modesta ma sicura di sé, determinata e seria quando parla del suo incarico. E ascoltarla fa bene. Anche alla politica.

Chissà che all’unità d’Italia non siano mancate le donne. Del resto, anche se spesso i manuali non lo ricordano, con i Mille ce n’era una soltanto. Rosaria, la moglie di Crispi. E forse una delle chiavi dei nostri ritardi, la possiamo trovare proprio qui. Camicie rosse e quote rosa, insomma. Per cambiare. E perché diventi un fatto normale, in questo Paese, che un Comune sia governato da una giovane donna.

Si parla di futuro, oggi. E ci si prepara alla campagna elettorale. Ripartendo da scuola e cultura. E allora si va a Calatafimi. Un nome che sa di sussidiario e di toponomastica. Un piccolo centro che fa Comune con Segesta. Per dire che la storia qui ha un senso. Eccome se ce l’ha. Da millenni.

A pochi metri dal tempio più bello, la battaglia del 1860. I Mille sbarcano a Marsala e si dirigono verso Palermo. La strategia degli avversari è semplice: vogliono giocare d’anticipo e sbarrare la strada verso la città. La località in cui s’incontrano si chiama Pianto Romano. Le truppe borboniche sono su in alto e i garibaldini partono svantaggiati (nei sondaggi?). Si affidano ai tiratori scelti – «i più capaci e meritevoli», quelli che sanno come centrare il bersaglio – per cercare di contrastare l’artiglieria dei nemici.

A un certo punto, il vicesegretario Nino Bixio ha un attimo di smarrimento e pensa di ritirarsi. Il segretario non è d’accordo. La famosa frase non sarebbe però: «Qui si fa l’Italia o si muore». Ma: «Qui non possiamo andare né avanti, né indietro». Che probabilmente fotografa meglio la situazione. Anche la presente, per capirci. E allora i Cacciatori delle Alpi (senza fazzoletto verde) lanciano l’assalto ai soldati avversari, che, guidati da Francesco Landi (probabilmente un finiano dell’epoca), retrocedono.

È una splendida vittoria, insperata, miracolosa. Che apre a Garibaldi e ai suoi la via di Palermo e della grande impresa. Domattina ci passiamo. E poi Mazara. E poi Marsala. Siamo a “cento passi” dalla nostra meta. Una meta strana, per la verità. Perché il nostro viaggio da lì inizierà. E faremo sul serio.

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