Oggi, in edicola, per l’Unità. Voi leggerete, mentre noi saremo a Cefalù, a Pollina e a Calatafimi-Segesta. Il secondo pezzo pugliese, qui di seguito:
L’ambiente di nuova generazione che serve al Paese

Soltanto in Italia poteva capitare che i personaggi che hanno sempre magnificato il nucleare finissero nei guai per via dei loro affari con l’eolico. Fonti investigative contro fonti fossili: uno scontro titanico. Ma che le energie fossero poco rinnovabili, nella politica del nostro Paese, beh, lo avevamo capito. Da tempo.

Non è tutto così, però. Ci sono i tubi dell’Acquedotto Pugliese su YouTube, con un gioco di parole al limite del regolamento. L’Ilva di Taranto e la legge che vuole limitarne i fumi. Gli impianti fotovoltaici in allestimento lungo la strada statale 100. E allora viaggiamo da Matera (un luogo difficile da abbandonare) a Scanzano, passando per le politiche ambientali della Puglia di Nichi.

Patrizio Mazza è ematologo. Ed è categorico. Viene da Bologna, a Taranto si batte da sempre per denunciare le emissioni dell’Ilva e le loro conseguenze sulle persone. Parla delle proprie sfide e proclama la propria solitudine. Dai suoi racconti non sembra che, a parte gli elettori che lo hanno portato in Consiglio regionale con l’Italia dei Valori, abbia altro sostegno in città. Di Vendola dice che la sua legge regionale (la numero 44 del 2008), la legge anti-diossina, dal punto di vista medico non ha sortito gli effetti desiderati, anche perché la diossina tende ad accumularsi. E ridurre le emissioni dello stabilimento tarantino non è sufficiente per debellarla. Dal punto di vista politico, invece, è un buon segnale, ammette Mazza, perché finalmente un’azione politica investe Taranto e il suo stabilimento più grande (grande come la città, si direbbe). Una legge riduce le sostanze che rovinano l’aria e la salute dei cittadini. Ci vuole di più: chissà se la proposta del neo-consigliere troverà fortuna in Regione.

Per superare il «ricatto» dei posti di lavoro – 12.000 sono le persone che lavorano all’Ilva – Mazza sostiene che la soluzione non sia la dismissione dell’attività del sito produttivo: «occorre un progetto alternativo e strategico realizzabile nel corso del tempo». Un’alternativa che sfrutti la posizione di Taranto, un «crocevia» al centro del Mediterraneo.

«Quello di medico oncologo è un mestiere da ottimista. Ora, da politico, lo sono molto meno», dice Mazza, sempre ironico. Poi si fa serio: «I partiti a Taranto non esistono più, al loro posto ci sono delle singole individualità». E una politica frammentata non aiuta ad affrontare i problemi strategici.
Un altro ottimista di professione è Vito Palumbo. Ci accompagna per le strade di campagna, tra sole e vento. E ci racconta l’Acquedotto Pugliese. A Vito il suo lavoro di comunicatore piace. Il suo ufficio stampa è serio e creativo insieme. E lui ci racconta, e si racconta.

Tutto si tiene, anche in questa occasione. Perché la Puglia è una terra senz’acqua. Perché l’acquedotto è lungo come la sete. Perché l’acqua, per portarla fino al Salento, bisogna pomparla. E allora viene fuori il problema dell’energia, perché ne serve tanta, tantissima. E costa. Più di 70 milioni di euro all’anno. Un’enormità. E l’Acquedotto Pugliese decide che è il caso di risparmiare. Fino al 5%. E avvia un programma d’interventi in questo senso, il primo della sua lunga storia. «Energia 10 in condotta», si chiama. Dal 2007 a oggi, numerose iniziative, una sfida assunta con competenza. E attenzione per l’ambiente. E per i costi aziendali.

Qui, a Laterza, nel Parco del Marchese, dove le acque si dividono, in una sorta di svincolo tra Bari e Taranto, hanno collocato un impianto fotovoltaico sul tetto del serbatoio idrico. Che non impatta con l’ambiente. E che contribuisce a tutelarlo e a ridurre i costi di gestione. In un colpo solo.
Arrivati fino a qui, e in attesa di passare per Scanzano Jonico, il sito (mancato) delle scorie nucleari, ci si chiede come mai non esista una forza ambientalista in Italia e perché il Pd non scelga il tema dell’ambiente come un punto di attacco e non solo come un elemento di difesa contro gli interessi e le speculazioni. Come se la green economy nella politica italiana fosse difficile da tradurre.

Eppure Prestigiacomo è un ministro incerto al limite dell’inattività. Eppure l’acqua, con la cascata di firme raccolte anche da quasi tutti i circoli del Pd, e l’opposizione al nucleare, che diventerà presto un’urgenza, sarebbero due temi decisivi intorno ai quali non solo fare opposizione al governo attualmente in carica, ma costruire il futuro del nostro Paese. E ripensare anche la sua vocazione e le prospettive del suo tessuto produttivo.

L’alternativa democratica dovrebbe manifestarsi prima di tutto in campo ambientale. Con la presentazione di un piano energetico, alternativo e unico, per illustrare ai cittadini come questo Paese possa scegliere la via delle rinnovabili e, soprattutto, dell’efficienza energetica. Con la raccolta delle buone pratiche, che partono dal territorio, dall’attività degli enti locali e dai comportamenti virtuosi dei cittadini.

Perché l’ambiente, di questi (nuovi) tempi, c’entra con l’impresa e c’entra con il lavoro, non solo a Taranto. E ci sono un sacco di green artigiani e di green ricercatori pronti ad attivarsi. Anzi, si sono attivati già, in attesa che la politica faccia altrettanto.

Del resto, l’Italia è ancora un Paese a vocazione industriale e dovremmo essere tra i primi a capirlo. E a investire, cercando le soluzioni migliori. Strada facendo. Come aveva iniziato a fare il governo Prodi, prima che le nostre meschinità ci travolgessero. E arrivasse Mastella a far precipitare tutto. Forse è il momento di fare lo stesso. Ma al contrario. Cade Berlusconi, via libera all’ambiente. Di nuova generazione. Come quel nucleare che chissà quando arriverà. Speriamo mai.

Il democratico Antonio Ceruzzo, vicesindaco di Scanzano, è determinato. Nel 2004, dopo le proteste veementi della popolazione e delle istituzioni locali, Berlusconi si trovò costretto a ritirare il decreto delle scorie votato l’autunno precedente. Venne anche Betty Williams (Nobel per la Pace nel 1976) a far visita a Scanzano per opporsi all’iniziativa del governo. E dopo qualche tempo, Vito De Filippo, attuale presidente della Regione, ha accolto una sua proposta e ha promosso uno studio di fattibilità per realizzare a Scanzano la Città del fanciullo. Una città dedicata ai bambini da proteggere dalla violenza e dalla guerra. Al posto del sito delle scorie. Una variante al Piano regolatore e alle scelte del governo della destra, soprattutto. Puntuale è arrivato il finanziamento della Regione Basilicata e a settembre (tra qualche giorno, insomma), partiranno i lavori del primo lotto. Della Fondazione che gestisce il progetto e l’iniziativa fanno parte la Regione, i Comuni di Sant’Arcangelo e di Scanzano e l’associazione di Betty Williams. Un modo diverso per tenere lontani sia il deposito delle scorie che il ‘deposito’ della centrale nucleare. Che fa ancora più paura. Perché il nome di Scanzano è tornato di attualità, proprio con il nucleare di Scajola-Berlusconi. Che si sta facendo largo, «a nostra insaputa», potremmo dire, proprio come quella casa che lo sventurato Scajola accettò in regalo e ora non si ricorda nemmeno da parte di chi.

Qui, il nucleare, sono tutti, ma proprio tutti pronti a respingerlo. L’alternativa si manifesta anche così. A Taranto, a Laterza, a Scanzano. Una domanda sorge spontanea, anzi ‘naturale’: arriveremo a Roma?

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