Un bel motto, direi, a cui appellarsi nell'ultima giornata a New Orleans e negli States, prima del defatigante viaggio di ritorno. Il lungo addio sarà accompagnato da un ottimo jazz e dalla compagnia dei quattordici colleghi europei (tra cui ricordo l'assessore austriaco, il direttore di dipartimento di Copenhagen, la giornalista ungherese, il 'capo' degli studenti irlandesi). Pare che a questo stesso programma abbia partecipato, un tempo, Tony Blair, ma anche parecchia gente che non ha fatto molta carriera, per cui non è il caso di tirarsela più di tanto. Anzi. Girare il mondo, per noi italiani soprattutto, è un bel bagno di umiltà. E qui di acqua ce n'è parecchia.
L'importante è esserci stati, da Washington a Nola (che non è la città di Giordano Bruno, ma uno dei tanti nickname di New Orleans), passando per Philadelphia, New York, Iowa City, San Diego. L'importante è avere imparato qualcosa, dai mille appuntamenti e (molto di più) dalle sensazioni registrate in questo breve passaggio nella vita degli Usa.
Il mondo è piccolo e l'Italia non è poi così lontana, e non solo perché una persona che ci ha ospitato per cena conosceva una fotografa brianzola che conosco anch'io (mutual friend: il concetto fondamentale della nostra epoca). Le ha fatto le foto per il matrimonio, sul lago di Como, ovviamente. Ma non solo per questo l'Italia – per certi versi (non sempre i versi giusti, purtroppo) – tende ad assomigliare agli Stati Uniti e ho cercato di raccontarlo, in questo diario un po' strano.
Mi porto a casa un po' di grassroots, un po' di politica fatta bene (anche sul web, questo sconosciuto), ma anche un bel po' di individualismo e di conservatorismo d'altri tempi. Nella valigia cercherò di farci stare qualche souvenir di Move On, mentre non è proprio il caso che porti a casa il Tea Party perché quello, in Italia, già ce l'abbiamo. Governa da vent'anni, prendendosela con il sistema perché nulla funziona, a cominciare dalle tasse e dagli stranieri. Già.
Ci sono il vento e il Mississippi, ci sono la macchia e le polemiche, c'è il ricordo di Katrina. E New Orleans è bella sul serio, non solo perché te la consigliano tutti, sempre e comunque. C'è molta provincia, anche qui, e mi sento un po' a casa. C'è anche un'aria da perenne carnevale (Mardi gras, lo chiamano questi nostalgici) e il perenne carnevale è anche la metafora migliore per descrivere l'Italia, con la casa di Scajola, la lista di Anemone, Bondi che non va a Cannes anche perché nessuno l'aveva invitato, B che tutto sommato continua a spadroneggiare. Come se niente fosse.
Molti si sono chiesti che cosa facessi qui, ma è inevitabile chiedersi cosa ci facciamo noi in Italia e perché non diamo una 'mossa' (move on, appunto) a noi stessi e al paese che abbiamo ereditato da una classe dirigente irresponsabile e un po' triste, con lo sguardo incapace di aprirsi sul mondo, desolatamente inutile. E pensare che dell'Italia tutti pensano un gran bene, nonostante tutto. Ecco, forse dobbiamo ripartire da qui.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti