osì Ivano Fossati, citato da Antonio Pascale nel suo ultimo, bellissimo saggio Questo è il Paese che non amo. Trent'anni nell'Italia senza stile (Minimum Fax). Quello di Pascale è un libro complesso e indispensabile, per sopravvivere in Italia, di questi tempi (che per la verità durano da fin troppo tempo, questi maledettissimi tempi, praticamente da sempre). Per capire cosa c'è che non va, a destra e a sinistra, in profondità, senza affidarsi ai soliti manicheismi, senza cercare speranza dove non potremo trovare mai la soluzione. Perché non è solo un problema di linguaggio e di comunicazione, come si sente ripetere in ogni dibattito e in ogni talk show, è una questione limpidamente culturale. Anzi, di coscienza di sé. Nel libro di Pascale c'è tutto quello che non ci siamo detti, ultimamente, facendo tutti, chi più, chi meno, buon viso a un pessimo gioco. In un Paese cattivo, perché spesso, anche nelle sue forme eccellenti, è straordinariamente stupido (Pascale non lo dice, ma porta il lettore a rendersi conto di quanto lo sia, il Paese, e nel mio caso anche il lettore). Pascale decostruisce e ricostruisce, senza affidarsi alle semplici «carrellate», agli episodi che fanno epoca (che vanno, con precisione, rovesciati), alle verità di comodo (che verità non lo sono quasi mai), alla banalizzazione che ha travolto anche chi la condanna da mattina a sera. Il libro di Pascale spiega molte cose. Anche troppe. E fa male. Perché in Italia «non c'è ombra nella quale scomparire». Forse è il caso di accendere la luce, piuttosto.
P.S.: attenti, però, non è un libro facile. Appunto.

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