Così mi ha detto un democratico, oggi: questo è l’ultimo cerino, non fatelo spegnere. E, allora, vale la pena di raccogliere le impressioni di chi ha partecipato (lo faccio qui, segnalatemi i vostri ‘resoconti’) e di postare il mio piccolo intervento.

Carlo Monguzzi non è più solo un leader e una guida religiosa: ormai Carlo è una regola. La regola contro le deroghe. Sapete Carlo ha fatto troppi mandati e non è stato ricandidato (lui, perché tutti gli altri sì). D’ora in poi, pensando a lui, non potremo più candidare nessuno che abbia già fatto due mandati.
Immaginate cosa succederebbe. Facciamo una deroga solo per Bersani.
E, a proposito di Bersani, questo nostro lavoro non ha che un capo, il nostro segretario, a cui vorremmo assicurare una lunga coda di persone e di idee.
E il Pd è il nostro partito, nonostante tutto e oltre-tutto, potremmo dire, anche se provoca disturbi cardiovascolari, forme depressive d’ogni genere, angosce ancestrali. Per superarle, dobbiamo essere generosi. Abbiamo solo due citazioni ben presenti: «un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia». E, diceva qualcuno che si era addentrato Into the wild, in terra leghista: «la felicità è reale solo se è condivisa». Ecco. Abbiamo bisogno che tutto questo sia immediatamente condiviso. Del resto, è condivisione la parola chiave della rete: 24 milioni di italiani sono sul web, solo il 5% dice che internet non serve a niente: si vede che sono tutti i dirigenti del Pd. Ora, dobbiamo cambiare scenario, lasciarci alle spalle mozioni e posizionamenti: ricordo che siamo stati sette mesi a discutere di Congresso (sono venuti a studiarci da fuori, dalle Università americane).
Una cosa curiosa è che noi ci mobilitiamo dopo la sconfitta e non prima della vittoria…
Tutto il resto, in ogni caso, non ci riguarda. A noi non interessa il palo al 90°, il bue che dà del cornuto all’asino, l’eterno costituire correnti, associazioni dai nomi improbabili e dai destini indefiniti. Siamo «caduti in piedi»? Proviamo a camminare, piuttosto. Noi, alle fondazioni, preferiamo le fondamenta. A noi interessa quel che diciamo. E se diciamo qualcosa. E se mai decideremo di iniziare a dirlo anche a qualcun altro. E piuttosto che all’alleanza con l’Udc (di cui sento ancora, incredibilmente, parlare), che qui ha preso meno di Grillo e l’anno scorso meno dei Radicali, ci chiediamo cosa vogliamo fare noi. Primarie, ha detto Carlo. Minimo. E si parla tanto di ricambio generazionale, e poi non lo si fa mai e i giovani governatori li eleggono gli altri. Noi preferiamo l’usato sicuro. Per di più, negli ultimi giorni si segnala che dal ricambio generazionale siamo già passati al «rimango generazionale». Ma andiamo oltre.
Andiamo oltre il nostro politicismo, oltre le nostre timidezze, oltre le nostre incertezze. Oltre quasi tutto.
Tre progetti. Nel paese dei milioni di precari e dei contratti non rispettati, stipuliamo un CoCoPro.
1. Un lavoro al Nord. Per prendere sul serio la Lega (e il Pdl) e fare opposizione (questa sconosciuta).
Perché «più voti alla Lega», vuol dire meno soldi ai Comuni: e la Lega protesta.
Perché «più voti alla Lega», vuol dire più ‘clandestini’ e più voti alla Lega la prossima volta.
Perché «più voti alla Lega», vuol dire meno equità fiscale, meno lealtà, meno legalità.
E però un approccio, il nostro, che sembra lontano. La nomea di affamatori di popoli sul fisco non ce la siamo tolta. Quella di salottieri, buonisti e perdigiorno, nemmeno. La percezione che si ha di noi è, a volte, pessima.
La mitologia del radicamento territoriale. Ritorniamo a fare «quel lavoro che gli italiani non vogliono più fare»: la politica. Lo faremo, come ne Il nome della rosa, senza i ‘maledetti’ cognomi, con Andrea da Varese, Ilda da Torino, Giovanni da Trieste, Ernesto da Roma. Lo faremo attraverso strumenti di informazione, denunciando i risultati dello scudo fiscale (glielo diamo in testa), rilanciando il prontuario «Mandiamoli a casa», traducendo in un linguaggio corrente il lavoro dei nostri parlamentari sul «federalismo solo a parole», raccogliendo le buone pratiche sulla sicurezza tra i nostri amministratori, dimostrando di avere proposte comprensibili sul lavoro, sulla casa, sul fisco. Per estendere un campo che è diventato esso stesso leghista, senza che ciò abbia comportato alcun risultato tangibile dal punto di vista della soluzione dei problemi.

2. Il Partito dei giovani. No, non si preoccupino. Non un partito dei giovani dirigenti, che non ci interessa, ma un partito di giovani elettori, che guarda caso votano tutto tranne il Pd. Un partito che si prenda a cuore la questione del precariato. Andiamo oltre l’incertezza. Anzi, andiamo proprio oltre il precariato, ripartendo dal contratto unico, che deve diventare un tema nazionale, anzi, nazional-popolare. I diritti civili. Andiamo oltre il Medioevo, in una regione in cui c’è del razzismo e dell’omofobia. Il nuovo ambientalismo. Andiamo oltre il pecoraroscanismo, come l’ha chiamato Renzi. Le nuove tecnologie. Andiamo oltre il Pisanu, oltre il doppino telefonico verso la banda larga, le ipotesi della censura in rete per una vera libertà di informazione. Tutte cose che devono diventare il Manifesto del Partito dei giovani che, in questi tre mesi, ci impegniamo a redigere.

3. Abbiamo abolito il Sud. Anzi, più precisamente, l’abbiamo rimosso. La nostra terza ‘missione’ è la riscoperta del Sud, a cominciare dall’Aquila, dai rifiuti di Napoli e di Palermo, dalla lotta alla criminalità di un governo che prende tutti i mafiosi e anche l’ottanta per cento dei suffragi a Gomorra (strano, vero?), di un Sud usato solo come argomento polemico, in cui i giovani scappano e non tornano più.
Nella valigetta di pronto intervento, avremo: un indirizzo email, un wiki, un aggiornamento periodico, e ci affideremo non a una guida nazionale, ma alle iniziative di Alqaedem (per fare del bene, però), delle tanti ‘basi’ che già sono operative e che sono “in sonno”.

Come modalità di azione, studi, ricerche, esperienze, relazioni e iniziativa politica diffusa, a ogni livello.
Come unico indicatore, il coefficiente di Gini, perché più disuguaglianza vuol dire più infelicità per tutti.
La lealtà contributiva, perché non ci sono solo le rette scolastiche e il cattivismo contro i bambini, ci sono anche gli evasori fiscali, e la concorrenza sleale verso imprenditori e lavoratori onesti.
Una piramide rovesciata, dove chi coordina non fa nient’altro che promuovere le qualità che ci sono già.
Andremo da Enrico Borghi, nella Val d’Ossola, per capire che cosa succede ai piccoli comuni. Andremo da Franco Corradini per capire come si fa sicurezza senza stravolgere lo stato di diritto. Andremo da Laura Puppato per capire come si fanno le politiche ambientali. Andremo preferibilmente presso i capannoni che presso le sale convegni, alla ricerca di simboli positivi, di esempi da seguire.
E, nel frattempo, saremo là dove ci sono le ordinanze discriminatorie, le rette da pagare, il 25 aprile che non si può celebrare, dove vorranno mettere la centrale nucleare, privatizzare l’acqua, dove ci sarà l’azienda in crisi e il lavoratore sfruttato, dove ci sono i torti e le ingiustizie.
Un ultimo pensiero. Alle donne. Che devono ribellarsi, in un’Italia di un maschilismo ormai caricaturale.
Abbiamo eletto due donne. E ai tempi del cinismo e delle provocazioni elettorali, propongo che una faccia il capogruppo e l’altra il vicepresidente dell’aula.
Andiamo oltre. Perché, come ha scritto Andrea da Edolo, non vogliamo riprenderci il partito, vogliamo riprenderci gli elettori. E, aggiungo io, riprenderci la politica. Proviamoci. Insieme.

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