Sull’immigrazione, in Italia, l’ha scritto Riccardo Staglianò. S’intitola Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti. L’ha pubblicato, qualche giorno fa, ChiareLettere. Lo trovate in tutte le librerie e dovrebbe stare sugli scaffali di tutti i circoli del Pd, non solo di quelli della Regione straniera. Perché il libro di Staglianò è così ‘indispensabile’. Perché racconta quello che tutti sappiamo e che facciamo finta di non vedere. Che i neri lavorano in nero. A ogni ora del giorno e della notte. E che sono ‘clandestini’ soprattutto per quello. Perché sono ‘sommersi’, nell’ombra, al di sotto della soglia dei diritti e dei doveri. Per questo, e chissà perché se ne parla solo qui, i controlli, più che alle frontiere, dovrebbero essere dentro i confini, sul posto di lavoro. O credete ancora alla favola degli operai edili part time? E della sanatoria per sole badanti e colf? Ecco, tra le pagine più belle di Staglianò, un pregiudizio rovesciato, dedicato a mucche, sikh e campagne padane, che vi regalo così:
L’invenzione più resistente e ripetuta ce la spiega, ridendo, la sociologa Barbara Bertolanti: «Puntualmente, quando si parla di loro, a un certo punto scatta il riferimento automatico alla “vaca sacra”». È un riflesso pavloviano culturale. Se sono qui, ripete tanto il colto quanto l’inclita, entrambi orgogliosi della piccola competenza antropologica, sarebbe per l’antica deferenza religiosa. Che altro potrebbero fare se non venerare, anche oltreconfine, la loro divinità a quattro zampe? «Peccato però che la vacca sia sacra per i vegetariani indù e non per i sikh […] che possono essere carnivori o meno, ma ciò non sta scritto da nessuna parte del Guru Granth Sahib, il loro testo sacro». […] «Tuttavia, a forza di ripeterlo, si è consolidato un pregiudizio positivo – per una volta! – anche nella testa dei datori di lavoro, convinti che proprio questo legame mistico giovi alla mucca, che addirittura produrrebbe più latte. E loro fanno benissimo a non smentirlo e anzi a utilizzarlo a loro vantaggio».

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