Milano-Orvieto. Il Freccia è in ritardo di mezz’ora. Come sempre. Perdo la coincidenza. Ormai ho deciso: cambio vita e apro un’attività a Santa Maria Novella. Ma no, devo arrivare ad Orvieto, e non cambio vita, no, cambio altri due treni e raggiungo Orvieto (avete presente Itaca?) con un ritardo inqualificabile. Ho speso un botto e una signora informatissima mi spiega che all’aumentare del prezzo del biglietto ha corrisposto un aumento del numero di minuti per richiedere il rimborso (insomma, sono stato morettizzato).

Orvieto-Milano. Al ritorno, Samuele mi dice: ti si dà uno strappo a Firenze. Volentieri, rispondo, pensando all’andata. Propongo di fermarci a mangiare. Poi a bere un caffè. Esco dal bar: Anna Rita e Samuele, rimasti in auto, mi fanno strani segni dall’interno dell’abitacolo. Mi dicono: «Non aprire quella portiera». Io però, tonto che non sono altro, non capisco, non sento, cerco di interpretare i labiali, ma non comprendo: e apro quella portiera. La portiera è difettosa. Non scatta la chiusura. Marco e Samuele armeggiano per sistemarla e ripartire. Ad un certo punto Samuele introduce nel meccanismo le chiavi della macchina. Un gesto disperato: le chiavi si spezzano. Marco se la ride, Samuele dimostra un raro autocontrollo, Anna Rita, forse, ci maledice in cuor suo. Rimaniamo a piedi. Il servizio taxi locale non risponde. Fortunatamente quattro signore su due Diane "da raduno" ci portano in stazione. Facciamo i biglietti. A parte il fatto che l’arrivo previsto a Milano è alle 22 e siamo partiti alle 15.30 (il treno poi farà ancora un po’ di ritardo, così, per gradire), sembra tutto sistemato. Solo che Samuele, sull’auto rimasta all’addiaccio, ha dimenticato le chiavi di casa. Taxi, recupero chiavi, ritorno in stazione. L’auto la tornerà a prendere nei prossimi giorni. Tutta colpa mia: avevo per una volta rinunciato al treno. E Moretti mi osserva. E la fortuna è cieca ma lui ci vede benissimo. La Freccia colpisce. Quando meno te l’aspetti. A tradimento.

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