La presentazione del ‘prontuario‘ pubblicata ieri da l’Unità:

Concita De Gregorio, qualche giorno fa, rifacendosi a un’antica lezione di Vittorio Foa, ricordava l’importanza delle parole e la necessità di restituire al linguaggio della politica il senso che ha ormai perduto. Grazie allo straordinario contributo di Berlusconi e della Lega, i “luoghi comuni” sono diventati slogan elettorali e frasi da ripetere in ogni occasione, secondo il ben noto principio per cui un’informazione ribadita un milione di volte diventa comunque ‘vera’. Con loro e con il loro governo, le “frasi fatte” (e non verificate), diventano proposta politica a tutti gli effetti. Al Pd e al centrosinistra troppo spesso, nel recente passato, sono mancate le parole per opporsi e sono venuti meno l’orgoglio di difenderle e la volontà di riportare il discorso pubblico a una dimensione di razionalità e comprensibilità. Anche per questo nasce il prontuario dedicato all’immigrazione, che vuole rovesciare i luoghi comuni («mandiamoli a casa loro», appunto), le frasi dette al bar o dal podio di un ministero, le espressioni che da triviali diventano politiche. «Ci rubano il lavoro», «ci portano via le donne», «vivono alle nostre spalle», «gravano sul nostro welfare», «sono tutti criminali». Tutte ‘verità’ che molti ripetono, senza che nessuno dica loro che sono sbagliate. La stessa parola ‘clandestino’, una delle più potenti intuizioni del governo e delle più influenti sul modo di pensare degli italiani. «Basta la parola»: e tutti gli immigrati irregolari, sprovvisti di permesso di soggiorno, diventano persone malintenzionate e, finalmente, criminali. Si tratta dell’esempio più chiaro: non sono irregolari, sono clandestini, quindi ‘quasi’ criminali, quindi è il caso di inventare il reato di clandestinità per definirli. Non importa se si tratta di lavoratori in nero, non importa se in molti casi si tratta di lavoratori regolari che, perdendo il lavoro, ‘clandestini’ lo diventano, non importa che le cose siano più complesse e che quasi tutto sia dovuto al solerte impegno di molti italiani e di molte leggi che fanno di tutto per tenerli nelle condizioni di ‘clandestinità’. Gli stranieri «sono troppi» (anche se nessuno sa bene quanti siano), e le ronde «ci vogliono» (anche se sono del tutto inutili), e i barconi «vanno respinti» (anche se quasi tutti arrivano con il visto turistico per altre vie). Un altro punto di vista è necessario e urgente: perché arrivino anche al bar, provenendo dalla rete, dove questa iniziativa nasce, grazie all’intuizione di un mio omonimo, Andrea Civati (Varese), e al lavoro di chi ci ha lavorato tra Roma (Ernesto Ruffini) e Torino (Ilda Curti e Roberto Tricarico), e subito ripreso in Lombardia (Carlo Monguzzi). Ecco come si fa il famoso radicamento nel territorio. Che non consiste soltanto nel piantare bandiere per le strade e nelle piazze, come si sente spesso ripetere, ma saperle ‘piantare’ nella testa delle persone, come voleva un esperto di marketing, un secolo e mezzo fa. Si chiamava Friedrich Engels.

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