Avrei preferito che Piergianni Prosperini si dimettesse per altri motivi, non per i reati che gli sono stati contestati, che fanno riferimento alla sua continua presenza televisiva e a quelle trasmissioni, piene di ‘simpatico’ razzismo, di intolleranza folk e di attacchi al ‘diverso’, con messaggi analoghi a quelli contenuti nei suoi incredibili (e discutibili) calendari: tutti strumenti che gli sono sempre serviti per raccogliere tante preferenze (tantissime). Avrei preferito che Prosperini si dimettesse per i toni eccessivi spesso frequentati in questi anni, all’insegna dell’omofobia (come quando chiese la garrota per i gay, per poi scusarsi come in una famosa scena di quel film). Oppure per le continue battute di dubbio gusto sugli stranieri, con fare ‘brillante’, s’intende, come quella volta in cui mi presi dello «stronzone». Invece Formigoni ha inteso ritirargli le deleghe solo ora. Le accuse che gli sono state rivolte sono gravi e riguardano proprio uno dei temi più delicati della vicenda politica lombarda. I rapporti tra politica e media, la presenza ingombrante di alcuni soggetti politici (indovinate di quali si tratta) e l’oscuramento di altri. Un tema italiano, lo sappiamo tutti, ma lombardo in un senso più particolare e diverso: perché qui sono la maggioranza e il governo regionale ad avere una visibilità sconfinata, sulla base di un sistema informativo che è spesso sembrato morbido nell’opposizione e prodigo nei confronti dell’azione di governo di Formigoni dei suoi, anche perché annoverava tra i propri clienti proprio la Regione Lombardia. Se queste accuse fossero confermate, emergerebbe un terribile scambio. Quello tra appalti truccati a favore di una impresa radiotelevisiva e la continua presenza in tv di chi li gestisce. Un fatto giudiziario, certamente, ma anche di straordinario significato politico. Perché chi va in tv più spesso e può farlo al di fuori dalle regole e dal rispetto della legge, poi prende più voti. Non è automatico, ma ‘aiuta’. E la promozione del lavoro istituzionale, puntualmente trasformata in una grande occasione di promozione elettorale (e le intercettazioni pubblicate sembrerebbero confermare questo modus operandi), è lo strumento più semplice per invadere le televisioni locali di messaggi straripanti. Alla luce di questa indagine e della presunta colpevolezza dell’assessore, non possiamo fare finta di niente. E dobbiamo chiedere che vi siano garanzie e strumenti precisi e, finalmente, efficaci perché la democrazia televisiva in Italia non soffra ancor più di quanto è capitato negli ultimi anni. Anche e soprattutto nelle realtà locali, dove si forma quel consenso che spesso più che "radicato nel territorio" è radicato nella testa delle persone. E nel loro sguardo, fisso (e, a volte, perso) davanti a un televisore.

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