Che poi se uno ci pensa, siamo passati dall’autocritica all’autoassoluzione. Che negli ultimi vent’anni, la sinistra – nelle sue varie edizioni – ha perso quasi sempre (1994, 2001, 2008), vinto (1996) e pareggiato (2006) soltanto in una occasione. Che dopo la svolta della Bolognina, è nata la Cosa, poi abbiamo fatto l’Ulivo e presentato Prodi, poi abbiamo fatto la Cosa 2 e abbiamo mezzo smontato l’Ulivo, facendo cadere Prodi, poi abbiamo ri-fatto l’Ulivo (ma solo alla Camera, perché al Senato andavano bene i vecchi simboli), abbiamo quindi ri-presentato Prodi, poi l’abbiamo fatto ri-cadere. Nel frattempo, e in una paradossale ma evidentissima contraddizione proprio con il governo Prodi (che sarebbe di lì a poco esplosa), abbiamo fatto il Pd. Vent’anni di dibattito, di corsi e ricorsi, di andate e ritorni, di folgoranti fughe in avanti (poche) e mesti passi indietro (moltissimi). Nel frattempo il Paese si specchiava nel ritratto allucinato del nostro Dorian B, senza rendersi conto che stava terribilmente invecchiando (il Paese, non Dorian B). Ieri a Repubblica Tv, ci si chiedeva se non avessimo fatto troppo in fretta il Pd (giuro), ci si dichiarava contenti di noi stessi (giuro bis), si parlava di rivoluzione copernicana (Bellarmino, però, se la ride). La verità è che abbiamo perso. E dal punto di vista culturale ancora di più. E che il gruppo dirigente è cambiato pochissimo, nelle persone, nelle parole, nei riti. Mentre discutevamo di noi (altro che Copernico), il mondo intorno cambiava in modo vertiginoso. E noi non ce ne siamo accorti granché, tutti presi da appassionanti discussioni: tipo quella sul partito leggero. Oggi si chiamerebbe liquido. Già.

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