Una prima analisi del voto. Mi viene in mente quella storiella, che spero non offenderà nessuno (perché sono tutti così dannatamente suscettibili…): un ubriaco cerca le chiavi di casa sotto la luce di un lampione. Quando passa un amico e gli chiede: «Perché le cerchi sotto il lampione? Le hai perse lì?», l’ubriaco risponde: «No, ma almeno qui ci vedo». Ha prevalso la linea tradizionale, di una bella tradizione e con un candidato autorevole. Si è parlato di un partito e di un mondo conosciuti, facendo capire che si ricostruiva la sinistra, e che poi qualcuno andasse pure al centro, che con le alleanze si risolve tutto. Uno schema classico, la bocciofila, la piattaforma, internet e l’ambaradàn (sic) visti con qualche sospetto. I «giovani già sperimentati» (e tutti sappiamo che cosa significhi), espressione che il nuovo segretario trova molto intelligente, tanto da ripeterla ogni volta che può. Lo slogan, efficace, degli ultimi giorni, recitava «in mani sicure». Ed è il messaggio che è soprattutto passato, perché le mani di Bersani lo sono certamente. In secondo piano, invece, sono passati alcuni sponsor molto influenti e ingombranti e, per parlare di politica, il sostegno di quel sindacalismo che a D’Alema piaceva così poco (una volta). Mi auguro che Bersani sappia essere autonomo e libero, da segretario, più di quanto non si sia dimostrato in questi mesi. Gli elettori, nella stragrande maggioranza maturi (per non dire anziani), tutti novecenteschi, come è ovvio che sia, hanno seguito questa strada, e hanno fatto bene, e ha avuto ragione chi ha scelto Bersani, chi ci ha creduto, chi ha investito su di lui. Su questo non ci piove.

Mi scrive Marco, tra i commenti:

Un po’ di scuola delle Frattocchie avrebbe fatto bene a qualcuno dei vostri updatissimi capi: lì – hegelianamente – insegnavano che il reale è razionale e che quando perdi, non hai mai ragione.

Quando si perde, si sbaglia sempre. Infatti, ai principali vincitori di questo Congresso è capitato molto spesso. Anzi, è capitato, non solo di perdere, ma anche di rovinare le vittorie più belle (Prodi 1, per dire). Quanto a chi perde questa volta, devo registrare che per quanto ci riguarda sapevamo che la nostra sarebbe stata una mission impossible e che si doveva cercare soprattutto di vincere facendo passare alcune idee che ci stavano a cuore, dando gambe a un percorso di rinnovamento, impervio e difficile. Contestai la scelta che Franceschini si ricandidasse, e avevo ragione. Sarebbe diventato un patrimonio del Pd e al suo posto si sarebbe potuto candidare qualcuno ‘nuovo’ (davvero) e serio (almeno altrettanto). In questo schema, bloccato e parecchio correntizio, abbiamo ritenuto che un terzo candidato fosse utile, prima di tutto al dibattito interno al Pd, e poi alla sua proposta politica. Credo che questo sia stato riconosciuto da tutti: con il terzo movimento, questo Congresso è molto migliorato, e si è parlato anche d’altro, e non solo delle accuse reciproche con cui si era partiti (vi ricordate come eravamo combinati a giugno?). E parlare di sconfitta, per chi partiva con cinque parlamentari su un milione mi pare un po’ eccessivo. Tra l’altro, segnalo, che proprio per liberarsi di quello schema hegeliano, forzando una dialettica un po’ conservatrice, è nata la Sinistra. Che proprio quel nesso dovrebbe mettere in discussione. Altrimenti, com’è ovvio, ci teniamo B. Per sempre. I ‘sottomarini’ riemergono, come avevamo promesso, cercando di illuminare, anche nei prossimi mesi, alcune parti rimaste al buio in questi anni (e, purtroppo, anche negli ultimi mesi). Il voto delle persone che in Italia hanno meno di quarant’anni, i temi della contemporaneità (non ho bene capito quale sia la posizione del Pd, dopo il Congresso, su sicurezza, mercato del lavoro, nucleare, anche sulla crisi, per dire, ma sicuramente ero distratto), il linguaggio del 2010 e non solo quello degli indimenticabili anni Settanta. Abbiamo il dodici per cento. All’inizio era un aumento di capitale, ora un investimento per il futuro. E scusatemi se è poco.

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