Lucida analisi di Felice Meoli e Antonio Valente per Formiche. Il passaggio più critico è il seguente: «Gli elettori del Pd sono in prevalenza uomini, in età avanzata, residenti al centro e nel nord-est (che ricomprende nella categorizzazione europea l’Emilia Romagna), in centri medio-grandi e metropolitani. Sono in prevalenza laureati, con un profilo professionale diversificato, ma composto soprattutto da pensionati, insegnanti e impiegati del pubblico. […] Probabilmente la parte della popolazione italiana più garantita, che difficilmente riuscirebbe a scegliere l’idea di partito progressista (letteralmente: che sostiene la possibilità del progresso e dellevoluzione della società ed è fautore di riforme che facilitino tale processo) presentata – con un logo verde acido e viola fluorescente – da Ignazio Marino e dai giovani (e meno giovani) di Piombino». Meoli e Valente, così stando le cose e alla lettura dei dati, probabilmente hanno ragione. Il punto, però, è di capire se il Pd vuole accettare una sfida, quella, ad esempio, di raccogliere tra i propri sostenitori le nuove generazioni (prima di tutto) e alcune categorie di persone finora dimenticate o non ancora coinvolte. Paulo maiora canamus, insomma. Se vuole cambiare, almeno in parte, se stesso, il proprio linguaggio, i propri rappresentanti. Se vuole forzare in modo inedito i confini della propria proposta politica. Perché non è solo questione di vocazione maggioritaria, da una parte, o di politica-delle-alleanze, dall’altra. La questione è se vogliamo trasformare la politica del centrosinistra italiano. Perché se rimane così, temo sia anche destinato a perdere. Di questo, a mio parere (che nel partito è minoranza), si tratta.

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