Io ne ho viste cose che voi democratici non potreste immaginarvi. Candidature in fiamme al largo dei bastioni di Torino, e ho visto i raggi B (!) balenare nel buio vicino alle porte del Lingotto, e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo e nel Congresso, se qualcuno non vi porrà attenzione. È tempo di morire…? No, non ancora. C’è ancora un popolo che prende l’auto, e il treno, e l’aereo e viaggia attraverso l’Italia per parlare di politica. C’è ancora chi ha in mente di cambiarla, la politica, partendo dagli strumenti più banali (e più necessari) dell’organizzazione del partito (cfr. Oleg Curci e Enzo Frammartino, ma anche Roberto Rampi, che non è riuscito a intervenire) e da uno stile che cerca di essere diverso. Ho visto candidati segretari alzarsi dalla platea, intervenire per pochi minuti, cercare di spiegarsi. Ho visto sindaci e coordinatori di circolo, militanti e elettori semplici (ma articolatissimi, nei loro pensieri, s’intende). Ho visto tanti giovani (quelli «veri» di cui parla Bersani), preoccupati e speranzosi insieme. Ho visto le conclusioni di Ivan Scalfarotto, così precise, così puntuali, le riflessioni sul programma, sul progetto, sulle cose da fare, sulla laicità, sull’ambiente, sull’economia, su quel nesso tra libertà e giustizia sociale da recuperare, come ha detto Sergio Chiamparino. Diritti civili e responsabilità politiche, in un’ottica di ricambio (politico, non generazionale, accidenti!) e di apertura che da tempo non si respirava. Un’esigenza collettiva, un sentimento popolare, legato certamente al momento. Il nostro.

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