Io ne ho viste di cose che voi democratici non potreste immaginarvi. Ho visto correnti in fiamme al largo dei bastioni di Piombino. E ho visto i raggi B (nel senso che sapete) balenare nel buio vicino alle porte del Borgo degli Olivi (così si chiamava la struttura che ci ospitava). E tutti quei momenti non andranno perduti, anche se pioveva. E’, insomma, tempo di partire. E, come in quel monologo (che era improvvisato, come sanno gli esperti), tutto è successo senza che vi fosse predeterminazione. Ho visto persone che non si conoscevano discutere liberamente. Ho visto amici e compagni parlare dei problemi del Paese (prima ancora che di quelli del Pd), partendo dalle domande e non dalle risposte già frequentate in passato. Ho visto una generazione fare politica in modo molto maturo (altro che gggiovani), partendo prima di tutto dai propri limiti. Responsabilizzati e seri, ossessionati dall’apertura di questo piccolo gruppo, preoccupati dai doveri di rappresentanza, consci di una sovraesposizione mediatica che, a volte, fa più male che bene. Ho visto proposte concrete e dettagliate, ma solo abbozzate e da precisare con il contributo delle tante persone che, come noi, si aspettano qualcosa. A Epinay, Mitterand aveva adottato lo slogan: «Cambiare la vita». A noi, quelli di Piombino, basterebbe cambiare (un po’) la politica italiana. Non per arrivare a Roma, ma per dare qualche risposta a Monza e a Udine, a Firenze e a Rimini, a Ravenna e a Genova. Perché il nostro arrivismo, di cui tanti ci accusano, è soltanto quello di voler vedere arrivare il Pd da qualche parte, in un percorso che lo porti, se è possibile, ad incontrare la società italiana. Piombino è stato un ‘luogo’, ora quel luogo si chiama congresso. E lo vogliamo celebrare a ottobre (parlo dell’ottobre di quest’anno e spero sia chiaro a tutti). Il mese più indicato per pensare a una (piccola) rivoluzione.

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