Igiaba Scego sull’ultima pagina de l’Unità (diffondete e leggete con me!) di oggi recensisce un film somalo che si intitola Un viaggio si è impossessato di me (un titolo fantastico). «Quattro cortometraggi per dissuadere i giovani a fare il Tahrib, ossia il viaggio verso occidente. Le cause della partenza mostrate dal film sono diverse: la mancanza di prospettive, di futuro, di soldi, la paura della guerra che ti mangia vivo. Ma nell’ultimo cortometraggio un ragazzo viene lasciato dalla sua ragazza perché alla fine preferisce sposare un somalo della diaspora venuto dalla Norvegia carico di soldi che alle parole romantiche (che il povero ragazzo le diceva) preferisce comprare l’amata come una mucca». Il ragazzo scappa e cerca l’oblio e, forse, la felicità attraverso il deserto. A me questa storia ha ricordato la vicenda di un signore, particolarmente importante, che scappò dalla Campania per amore, finendo prima a Noli (da Nola, la città dov’era nato) e poi a volare per l’Europa. Si chiamava Giordano Bruno e in un celebre passo dei Furori si dice così, parlando dei nove ciechi protagonisti in una chiave non lontana dall’esperienza biografica dell’autore: «non avendo speranza de ricevere il bramato frutto de l’amore e temendo che tal desperazione le riducesse a qualche final ruina, partironsi dal terreno della Campania felice, e d’accordo (quei che prima erano rivali) per la tua beltade giurôrno di non lasciarsi mai sin che avessero tentato tutto il possibile per ritrovar cosa più de voi bella, o simile almeno; con ciò che scuoprir si potesse in lei accompagnata quella mercé e pietade che non si trovava nel vostro petto armato di fierezza; perché questo giudicavano unico rimedio che divertir le potesse da quella cruda cattivitade».

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