Non andrò in Europa, ma su Europa sì. Con un pezzo dedicato a Soru e alla sua difficile sfida: lo trovate in edicola.

C’è la pausa caffè e quella di decompressione, la pausa musicale e quella tutta politica di Renato Soru. Il ‘meglio’ presidente ha uno stile ‘suo’ non immediato, ma nemmeno politichese, non piacione, ma nemmeno privo di una sottile ironia, quasi anglosassone. Soru è emotivo, la voce non è mai ferma, non è impostato, parla a braccio, segue un suo filo non proprio lineare ma sempre coerente e le sue pause alla ricerca della parola giusta fanno riflettere anche chi l’ascolta. Sono il rovescio delle famose pause craxiane, che predisponevano teatralmente alla parola ‘definitiva’. In Soru la pausa è pura introspezione, ragionamento, riflessione e fragilità, forse incertezza, ed è una bella metafora per descrivere la situazione in cui versa il Pd e il suo caos calmo, anzi la sua calma caotica. Le componenti sono tante: un momento di silenzio, di sospensione del giudizio, di attesa. Una pausa di riflessione vera Soru se la concederà alla fine della sua campagna elettorale, tra una settimana. Il messaggio è chiaro ed è il caso che una pausa la facciano tutti. Non tanto per capire dove andrà Soru, che ci auguriamo possa fare il presidente della Regione, e sul quale ci sono fin troppe speculazioni e retropensieri, all’insegna del peggior adagio della politica italiana: fare una cosa, pensando alla puntata successiva. La pausa servirà per capire dove andrà il Pd, quale sarà la parola che arriverà alla fine della licenza che ci siamo presi per troppo tempo. Perché la pausa, proprio come nel discorso politico di Soru, è credibilità e, non è un paradosso, guarda al futuro. Perché in quel passaggio così poco televisivo, quel momento vertiginoso, bandito da tutti i manuali di comunicazione, c’è parecchia sostanza, un legame con le persone che l’ascoltano e con le cose di cui tratta. Che arrivano, poi, precise, accompagnate da dati, da riferimenti puntuali, da argomentazioni di forte impatto. La pausa, si badi, non è silenzio, come quello del suo avversario finto, esattamente come non è la parola fluviale e «generica» del suo avversario, quello vero. Cappellacci, in ogni caso, sta zitto e «starà zitto anche in futuro», dice Soru. Non ha granché da dire, lo si capisce, e quello che ha da dire lo ha scritto qualcun altro. Accompagnerà in silenzio l’altro, che parlerà finché avrà voce e microfono e platee osannanti. Soru se la prende, perché la pausa non è nemmeno reticenza, anzi a volte sembra voler allontanare dal discorso espressioni che lo esporrebbero troppo alla polemica e alla volgarità. E, poi, però non le manda a dire. Quando parla di «fallimento», Berlusconi non sa quello che dice: «interrompe il dibattito, si intromette, ed è come se entrasse nelle nostre case e dicesse: bello quel salotto, ve lo regalo. E così per il televisore, per tutto quello che vede». La Sardegna orgogliosa questi regali se li può fare, ma da sola. E non deve aspettare altro, se non se stessa. Un discorso per la propria regione, ma che tutti sanno va benissimo per tutto il Paese. Una pausa per pensare, per mettere ordine, per fare pulizia. E una parola chiara ed esemplare, di cui il Pd ha bisogno.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti