Siamo sulla strada di casa, e tutto il viaggio passa veloce, come in un piano-sequenza. La partita a pallone prima che scenda la sera, a Timbuctù, le scuole dei villaggi e quelle della capitale, i bambini a cui dare tutto quello che si può, Abdou, il piccolo Obama, il deserto, il grande fiume che serve a tutto, le capanne dogon e la Falaise, le vie di Bamako, i pannelli solari per un po’ di luce e un po’ di acqua, la cooperazione pressoché inesistente, i colori delle donne, i campi di miglio e di scalogno, la povertà, la dignità, il primitivo e la globalizzazione, il mistero delle tante etnie che popolano questo paese, che da solo è un po’ come tutta l’Africa. Le ultime immagini, le più belle, sono quelle di Mopti, al tramonto, il suo porto fluviale, i pescatori, le pinasse stracariche, la miseria tremenda che il Niger fa sembrare più dolce. Al bar Bozo, all’inizio del porto, si incrocia il resto del mondo, una coppia costaricana, una ragazza olandese, una famiglia inglese, ed è un punto di vista semplicemente straordinario. E’ tempo di tornare. E di lasciare depositare le suggestioni di un viaggio che non dimenticheremo.

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