Le cose da fare, dopo Obama, sono tante. Per me, le più urgenti, sono le seguenti: pensare che anche i posti dove non si prendono voti, possono riservare delle sorprese (l’Indiana, ad esempio, ma anche la Lombardia, per dire). Pensare che si deve puntare al rinnovamento, delle figure, delle immagini, del linguaggio. Pensare che la politica deve parlare anche attraverso le passioni e le emozioni e che però deve essere concreta, semplice, diretta. Pensare che ci vuole organizzazione, in politica, un’organizzazione scientifica, e che il famoso radicamento nel territorio si rinnova, cambia, si ridisegna. Pensare che ci vogliono grandi sfide, altro che storie. Pensare che internet, i blog, Facebook servono soprattutto per tornare a parlare con le persone, per poi andare per strada, bussare alle porte, confrontarsi di persona. Pensare che non si deve essere provinciali, mai, come la politica italiana dimostra di essere in queste ore. Pensare che è importante l’ordinaria amministrazione, ma che il mondo ha bisogno di politica. E che la politica non deve necessariamente essere impopolare, lontana, incomprensibile. Pensare che le differenze sono una ricchezza, e basta con il razzismo, le discriminazioni, la paura dell’altro, solo perché è altro. Pensare che le cose cambiano, e possono soltanto migliorare (almeno per noi). Pensare che ci vuole un leader, ma soprattutto ci vuole un popolo. Pensare, per dirla con lui, che siamo individui, ma che non siamo solo individui. E che c’è un posto dove ci troviamo a vivere insieme. Anche quando facciamo finta che non sia così. Pensare che queste cose non devo dimenticarle e non le dimenticherò.

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