Mi chiedono in tanti: perché «Ammazzare il padre», venerdì prossimo, a Roma, con iMille? Non sta molto bene, come titolo. Spiego che anche a me non piace molto, per via di una certa qual aggressività. Però, sul termine e sull’espressione, vale la pena di intendersi. E per farlo, è il caso di recuperare il testo del più famoso parricidio della storia del pensiero. Si trova nel Sofista di Platone (241d-seguenti) e il padre da uccidere è Parmenide. Innanzitutto, riconoscendolo come tale, al padre si attribuisce un ruolo fondamentale. Ma la cosa importante è che – nell’ambito della disputa sull’essere (questione rispetto alla quale anche quella sull’identità e direzione del Pd sembra tutto sommato abbordabile) e per distinguersi dalle diverse correnti («una battaglia di giganti») – Teeteto e lo Straniero di Elea minacciano addirittura di «sottoporre a tortura» il pensiero del padre con l’unica ‘arma’ che conoscono, la discussione ovvero il dialogo filosofico. E si presentano così: «noialtri gente comune». E dicono che è necessario «dare battaglia nei ragionamenti». E avvertono che «pare che ognuno si metta a raccontarci una storia, come fossimo ragazzini», spesso «guardandoci dall’alto in basso», con il risultato fin troppo ovvio («lo vedrebbe anche un cieco»!) che ci troviamo in una «condizione di paralisi». Ecco perché venerdì ci troviamo a Roma. Perché vorremmo prenderci la responsabilità delle cose che pensiamo e che pratichiamo – o che vorremmo praticare – in politica. E finalmente fare i conti, prima di tutto con noi stessi. E con quella idea di Pd a cui stiamo dedicando tutte le nostre energie.

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