Avevo letto il primo romanzo di Dario Franceschini e mi era molto piaciuto, non potevo perciò esimermi dalla lettura del secondo, appena uscito, sempre per Bompiani. Si intitola La follia improvvisa di Ignazio Rando, ma in realtà Rando, il protagonista, non improvvisa. Anzi. Il realismo magico alla padana di Nelle vene quell’acqua d’argento si spezza, e la magia entra in contraddizione con una realtà che ha tutto di burocratico e troppo poco di poetico per un sognatore come Ignazio e per un autore come Franceschini. E allora a poco a poco Ignazio sostituisce la realtà con il sogno, in una deriva immateriale che colpisce il lettore e a volte lo disorienta, proprio come ci accade, ogni notte, nei sogni. A riportare il lettore alla triste realtà ci pensano così i coprotagonisti, burocrati senza speranza, che leggono il discorso dei sogni solo per intravedervi una propria convenienza. Mi sbaglierò, ma a me sembra un libro dedicato, con sofisticata soluzione letteraria, alla politica e, pensando al suo autore, alla vita dell’uomo politico. A volte, quando la realtà che vediamo non ci piace, il palazzo brucia e – ricordatevi l’Astolfo ariostesco, che è antenato del nostro Rando – si scopre un mondo più nostro e più vero. Solo nei sogni, però.

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