Devo dire che se non fosse stato per Francesco il penultimo Nori, quello di Noi la farem vendetta, Feltrinelli, me lo sarei perso. Da tempo infatti Nori mi sembrava aver smarrito la brillantezza di Bassotuba non c’è e l’avevo un po’ snobbato. Ma il libro in questione è un libro prezioso, soprattutto per la sua forza narrativa: il racconto dei fatti di Reggio Emilia, dei suoi caduti del 1960 all’epoca del deprecabile governo Tambroni, è un racconto insieme collettivo e personale, proprio come vorrebbe il Kierkegaard del tempo individuale e del tempo della storia, a cui Nori affida l’esegesi del suo racconto. Un racconto nel quale i ‘due’ tempi in realtà sembrano “convergere parallelamente”, in una denuncia che ci fa ricordare con dolcezza un’epoca che non c’è più e le storie che l’hanno impersonata. Proprio come l’austroungarico di Roth che Nori prende a modello: un tempo e una storia raccontati mentre si consumano e si concludono. Come quelli nei quali, rispetto a quella Reggio Emilia, ci troviamo anche noi.

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