Aperitivo con Loredana e Luca. Discussione sulla nostra città e sull’Italia di oggi. Alla fine, la metafora più precisa per descrivere quello che siamo è semplice. Siamo in provincia, anzi siamo la provincia. Il tema non è nuovo – da Heidegger a Bocca, per intenderci – ma non è mai stato così ben rappresentato. In provincia contano le cose immediate, ci si sofferma sui fenomeni “che ci riguardano”, si perde di vista il quadro generale, il metro di giudizio si accorcia sempre di più, mentre la distanza con i problemi profondi e con le loro soluzioni si allontana nello spazio infinito. Ciò che è irrilevante in un senso, è fondamentale nell’altro. Il confine è sempre più vicino, l’orizzonte si chiude, un’identità (presunta e irreale) perversamente si consolida e tutto è terribilmente autoreferenziale. Colpa di un mondo complesso, ‘grande’ e ‘terribile’, di una società sommersa da stimoli e incapace di strumenti per interpretarli, di un modello produttivo che fa dell’individualismo la misura di tutte le cose, in un’anti-etica del successo a tutti i costi che fa segno a un calvinismo postmoderno e ‘strappato’. Una provincia piena di paure, cinica per disperazione, ribelle alle regole e brillantemente e orgogliosamente ex lege. Perché nella ‘contea’ decidono lo sceriffo e pochi altri. In una città che diventa capoluogo di Provincia, la metafora ha un significato ancora più profondo. Ed è difficile ammetterlo, ma la politica, in un contesto così, fatica. Drammaticamente.

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