Se non l’avete ancora fatto, leggete Diamanti su Repubblica. Una delle ‘chiavi’ la trovate nelle sue riflessioni, come sempre quando si tratta del sociologo più citato e meno letto del Paese. Come me, si parva licet, Diamanti sostiene due cose: la prima è che il campanello d’allarme è una sirena e che la questione settentrionale va intesa soprattutto come una lontananza della proposta politica del centrosinistra – e, ancor più, aggiungo io, del metodo e dello stile con cui viene presentata – dalle esigenze (e le paure, e le chiusure anche) del Nord. Diamanti parla di abisso e chiosa ricordando elementi talmente evidenti da essere sotto gli occhi di tutti: la "confusa costruzione della finanziaria"; il dibattito allucinante sulla "destinazione del tesoretto"; le incertezze, le divisioni, la corsa alle dichiarazioni e, infine, ma non certo da ultimo, l’assenza di una missione comune che giustifichi gli appelli alla responsabilità e al sacrificio. Diamanti sostiene che il momento è decisivo. Lo penso anch’io. E lo pensa anche Primo Minelli, Legnano, che stamane al telefono mi ha fatto un lungo elenco di questioni rimaste aperte per troppo tempo senza una soluzione: i Dico, le pensioni, il contratto degli statali, il benedetto tesoretto, la legge elettorale, la costituzione del nuovo partito e tante altre cose su cui discutiamo e non arriviamo "a una". E allora ci si rende conto che la cosiddetta questione settentrionale è determinata dal fatto che qui più si sentono le contraddizioni, in una società più dinamica e individualista, che ha più fretta. Forse sbaglia, ma pretende delle risposte, che dalla politica tendono a non arrivare. La questione del Nord è, insomma, una questione politica che riguarda il Paese, non solo la fascia pedemontana, ed è quindi fino in fondo una questione nazionale, non una vicenda padana. Non dimentichiamolo. A meno che, come al solito, i consigli utili non vengano presi come critiche inaccettabili e sembrino, come capita spesso, semplicemente margaritae ad porcos.

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