Questa sera si è celebrato il mio ultimo consiglio comunale. Ma, forse, no, perché c’è un accordo di programma da approvare e forse saremo riconvocati, in via straordinaria, durante la campagna elettorale. Però, con la consegna della medaglia da parte del presidente Montalbano («con riconoscenza», si può leggere, una riconoscenza che giro immediatamente ai miei elettori di ieri e di oggi), si chiude un periodo lunghissimo della mia vita. In quell’aula sono entrato nel 1997. Dieci anni fa. Ero davvero un ragazzino. Ho fatto l’opposizione e sono stato in maggioranza. Ho vissuto le notti difficili – su tutte, quella terribile del centro commerciale – e le serate stupende – quella dell’approvazione del Pgt rimarrà nella memoria. Mi sono appassionato e annoiato a morte, tra un emendamento e l’altro, un’interpellanza e una mozione, in quell’aula verdina per l’occasione intonacata di nuovo. Che siate a New York o a Renate, fare il consigliere comunale è un’esperienza unica, che vale la pena di essere vissuta fino in fondo. Soprattutto se si ha la fortuna di farlo da giovani, rinunciando a qualche festa e a qualche serata spensierata, ma imparando molto di come funzionano le comunità di persone e del senso – quello vero, quello profondo – della politica. In occasione della prima seduta, lo ricordo ancora, dovetti acquistare una giacca, perché non ne avevo alcuna. Era una giacca di velluto a coste: meglio di tanti completi grigi che mi tocca indossare oggi, calcando altisonanti sì, ma molto meno genuine sedi istituzionali.

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