Si scrive Serrone, ma per una sera si legge Serruàn. All’americana. Perché l’inaugurazione della mostra di Keith Haring e del suo Murale di Milwaukee al Serrone della Villa Reale di Monza ci ha trasmesso emozioni che in tanti anni non avevamo provato, noi monzesi, così provinciali, così lontani dai circuiti internazionali (l’unico circuito internazionale, essendo, com’è noto, quello dell’autodromo). Una serata molto significativa per le tantissime persone che hanno voluto prendervi parte. Una serata in cui è stato presentato il Serrone finalmente ripensato quale sede di mostre di alto profilo (dopo gli impressionisti di tanti, tanti anni fa), in attesa di ricevere i pezzi e i progetti espositivi della Fondazione Peggy Guggenheim. Una sera in cui si è potuto dire «I love Monza», come se si trattasse di Londra, New York, Berlino o Barcellona. Nessuna retorica. La realtà di una città che si muove, che cresce, come in quell’opera di Boccioni che Faglia ama citare. Una serata che per me si è conclusa con un kebab, preso sotto casa mia, in un posto che si chiama Antica pizzeria Manara (risorgimentale, con monumento a Barzanò, per intenderci). Monza, per una sera, è stata global. E lo sarà, se tutto va come deve andare, sempre di più, negli anni a venire.

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