Non solo asparagi rosa, che per altro ci attendono tra qualche settimana, come ogni anno, nella suggestiva cornice, come si suol dire, di Palazzo Archinti. A Mezzago, il comune rosso della Brianza, il congresso dei Ds di ieri – a cui ho avuto il piacere di partecipare – ha decretato una plebiscitaria maggioranza (il 96%) alla mozione Fassino. Un risultato che mi interessa più per la qualità del dibattito che si è tenuto che per le proporzioni dell’affermazione della mozione che anche io sostengo. Angelo Vitali ha descritto la politica mezzaghese sostenendo che da trent’anni, in quella piccola città, il partito democratico è una realtà, nei modi e negli obiettivi di una politica molto radicata e in stretto rapporto con la vita cittadina. E che il modello Mezzago forse può farci pensare a una discussione più seria e più profonda su quello che vogliamo essere proprio nel rapporto – democratico, appunto – con la società italiana. Da tempo ne sono convinto e credo che il punto stia proprio nel nome e nella capacità di questo nuovo partito di porsi quello che una volta si chiamava problema della rappresentanza. Perché se il Pd sarà formato dalle due gambe dei Ds e della Margherita, e dalla terza (le associazioni che guardano all’Ulivo e che l’hanno sempre ‘coltivato’), ce n’è una quarta di gamba, che sorregge il tavolo politico del centrosinistra: e sono i nostri elettori, individualmente e in forma organizzata (come voleva Tocqueville) che ci chiedono un partito più maturo. E, proprio perché più maturo, più capace di adottare strumenti interpretativi del mondo che cambia. In un nuovo rapporto con gli elettori e con la realtà. In senso nuovo e insieme critico, perché è nell’irrequietezza del nostro riformismo e nel suo senso critico che si gioca la partita democratica della nuova formazione politica.

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