In seggiovia, ieri, pensavo al partito democratico. Capita anche questo. E mi è tornata alla mente – complice anche la lettura di Erri De Luca e Gennaro Matino (Sottosopra, Mondadori) – un’immagine di Koselleck ripresa recentemente da Bauman: al fatto, cioè, che fino a che non saremo in cima alla montagna, non potremo descrivere quello che si potrà vedere da là sopra. Altri hanno invece, pur restando fermi e anzi negando il divenire, la pretesa di sapere già come andranno le cose: una pretesa storiografica ma anche concettuale abbastanza comune in tempi di "fine della storia", che purtroppo caratterizza anche la nostra discussione sul nuovo partito. Il percorso è duro e la cima è distante, ma alla fine ci si schiuderanno nuovi orizzonti che è difficile prefigurare. Per dirla con Koselleck: «Ci troviamo su un pendio che sale verso un valico di montagna mai attraversato prima e non abbiamo alcuna idea della veduta che ci si schiuderà davanti una volta arrivati in cima. Non sappiamo dove ci porterà la gola tortuosa che stiamo percorrendo, ma di certo non possiamo fermarci a riposare qui, su un sentiero in ripida salita. Perciò continuiamo ad avanzare ‘per un motivo’ perché non possiamo restare in piedi a lungo. Soltanto quando (se) raggiungeremo la sommità del valico e osserveremo il paesaggio sull’altro versante sarà tempo di muoversi ‘verso un fine’: non più sospinti da ciò che abbiamo alle spalle, ma attratti in avanti dalle visioni, dalle finalità e dalle destinazioni che avremo scelto».

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