Dopo mesi di polemiche da paese appena uscito dall’anno Mille, grazie al lavoro del duo Bindi-Pollastrini – prove tecniche di partito democratico -, debuttano sulla scena politica italiana i Dico. Sembrava, per come si erano messe le cose, un vero pasticcio. Anzi, un pacsticcio, perché la parola Pacs, si è prestata, negli ultimi tempi, a molti fraintendimenti, quasi sempre voluti, soprattutto dal punto di vista lessicale. Va detto che passare dalla parola «congiunta» alla parola «contestuale» per definire la dichiarazione anagrafica con cui sancire la propria ‘partecipazione’ ad una coppia di fatto ha letteralmente dell’incredibile e ci ricorda che siamo in un paese arretrato e pauroso. Il lavoro di taglia e cuci delle due ministre è stato non raccontabile, soprattutto dal punto di vista di Rosy Bindi che ogni giorno veniva chiamata al rispetto della dottrina da tutti i prelati che avevano a disposizione un ufficio stampa. I contenuti però dei Dico – questo il nuovo acronimo: diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi – sono buoni, sia perché sostanziosi, sia perché finalmente si riconosce una dignità alle coppie omosessuali. Ed è un momento importante per l’Italia, soprattutto se si pensa alla sua vergognosa omofobia. Non è un passaggio da poco, in un Paese dove l’unica figura istituzionale che si oppone a Ruini è la Littizzetto. E, per concludere, devo dire che anche l’acronimo funziona: ‘dico’, insomma, che mi sembra una buona cosa.

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