Ieri sera in Consiglio si è esaurita la discussione generale sul Piano di governo del Territorio, lo strumento urbanistico fondamentale per la città di Monza. La discussione – vale la pena di ricordarlo – è iniziata nei primi giorni di luglio, mentre in Regione veniva votata una modifica alla legge 12 che cancellava le salvaguardie e faceva tornare Monza al Piano regolatore del 1971. Trentacinque anni con un solo articolo, trentacinque anni con un solo comma: una «macchina del tempo» pensata apposta per la nostra città, perché la norma, successivamente impugnata dal Governo Prodi, è, come si suol dire, ad hoc, e rende edificabili tutte le aree di cintura della città, compresa la Cascinazza di Paolo Berlusconi. Da allora, sono sei i mesi trascorsi in Consiglio comunale sotto il tiro dell’ostruzionismo delle minoranze, che si sono concesse anche episodi clamorosi, come una cena a base di pizza sui banchi dell’aula, l’involontario allagamento dei microfoni e la volontaria decisione di bloccare i tecnici che volevano ripararli e, proprio ieri sera, la presentazione di nove scatoloni da duemilacinquecento fogli ciascuno, pieni di un numero imprecisato di emendamenti, immaginiamo intorno alle ventimila unità. Ventimila emendamenti che vanno ad aggiungersi agli undicimila già presentati, per bloccare ancora una volta i lavori dell’aula e rinviare sine die l’adozione del Pgt. Ci sono due città che si confrontano: la Monza di Faglia che sta cercando di cambiare e di superare l’inerzia degli ultimi decenni, e la Nonza della destra, la Monza del “no” e del “non se ne parla”. La prima ha fatto proposte, promosso iniziative, realizzato decine di interventi. La seconda, no. E basta.

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