Non so se avete presente quello che sto per scrivere, ma credo di sì: a tutti è capitato e magari a qualcuno sta capitando proprio in questo momento. E scusate se mi concedo un po’ all’intimistico, genere che ho finora evitato per dedicarmi piuttosto a cave, discariche, speculazioni, ecc. Per me questi sono giorni di pausa e di riflessione, nei quali fermare il (di)venire di cose e persone, ridimensionare i problemi, sospendere il giudizio, riflettere sulle ‘famose’ scelte: guardare da lontano anche le cose che ci sembrano più vicine. Fare in modo che le cose non precipitino, ma – qualche centimetro prima dell’atterraggio – si fermino, rimangano sospese (e, quando sono sospese, le cose paiono ondeggiare), consentendoci ancora una pausa di riflessione, qualche minuto soltanto, per favore, prima di ricominciare. Una sensazione tutt’altro che di immobilità e di inerzia, anzi per certi versi elettrica (almeno un po’): perché ci si ferma sì, ma la mente corre e l’anima, spesso, la precede. E c’è di più: è il tempo necessario e, speriamo, sufficiente, per capire quello che ci manca, in termini di passioni, amori, speranze. Platone, lo sanno tutti, ci ricorda che l’amore è figlio di povertà e ricchezza, e perciò si desidera quello che non si ha e l’uomo in generale è in tensione verso una conoscenza dalla quale in realtà si sente escluso. Un’eterna ricerca, la chiamerei così, che vale per Eros e per il suo mito, ma vale per la vita in generale di noi comuni mortali. E vale per un ponte (parola che di per sé ci dice qualcosa), prima che si compia anche il 2006.

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