A volte un film può spiegare tante cose, ancorché in modo del tutto inaspettato, a chi fa politica. E’ il caso di N. Io e Napoleone di Paolo Virzì. Se il libro di Ferrero a cui il film è liberamente ispirato si soffermava soprattutto sulle relazioni tra l’eroismo e la letteratura e il senso della storia, il film di Virzì è più orientato a descrivere la fascinazione del personaggio famoso e potente sul popolo, ma anche sugli intellettuali (che all’epoca proliferavano, ora un po’ meno) e sul pericolo di fraintendere le finalità e le modalità con cui il potere stesso viene esercitato. Nella scena della visita di Napoleone Auteuil al mercato ciò è lampante, ma lo è altrettanto in altri luoghi del racconto, anche quando non si tratta del grande imperatore, ma, ad esempio, della baronessa Bellucci, che esercita analoga suggestione sugli altri personaggi del film. E’ il tema che è letteralmente esploso negli ultimi anni, quello della società dello spettacolo, dei suoi riti e della necessità di accedervi con i mezzi più impensati (e fa sorridere l’accostamento tra l’Elba del 1814 e certe isole di famosi naufragati nella banalità). Ma è anche il tema che conosciamo bene nella vita politica, quello della sudditanza psicologica nei confronti del personaggio di potere che si percepisce sia tra i solerti caudatari che tra gli zelanti oppositori, questi ultimi ancor più colpevoli perché – chiamati come sono non certamente al tirannicidio (come il Martino del film), ma semplicemente ad un’opposizione forte e chiara – spesso si fanno irretire nel sistema, dal linguaggio e dalla comunicazione di chi il potere ce l’ha. E, nonostante i tratti da statista gentile, non ha alcuna intenzione di abbandonarlo (ogni riferimento alla politica milanese e lombarda è puramente casuale). Buona visione e, speriamo, buona politica.

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