In filosofia della scienza qualcuno diceva che una teoria scientifica si regge in piedi anche moltiplicando quelle che potremmo chiamare eccezioni. Fino a quando la teoria non si rivela superata. Anche per via, potremmo dire, delle troppe eccezioni.

Ecco, mi pare che il tentativo di fare la sinistra del Pd fuori dal Pd e speculare a una destra del Pd fuori dal Pd appartenga a quel tipo di tentativo. Nessuno mette in discussione Renzi e ciò che c’era prima di lui, rispetto al quale quelle di Renzi sono state solo variazioni aggressive sul tema. Larghe intese trasformate in un patto politico con Ncd, che non a caso Delrio propone come alleato anche alle prossime elezioni: come fanno peraltro tutti quelli che attribuiscono il 40% del sì al Pd (e quindi ai suoi alleati). Un programma che ha scelto le migliori ciliegie del programma della destra, sul lavoro, l’ambiente, le infrastrutture, le politiche economiche e fiscali. Una gestione del potere totalizzante, perché si deve vincere, a qualsiasi costo, anche quello di perdere.

Che poi il problema non è nemmeno l'alleanza con il centrodestra: è che centrodestra e centrosinistra si sono confusi fino a non riconoscersi più. E fino a portare Aldo Cazzullo, oggi, sul Corriere, a affermare che questo era un governo di centrosinistra. No, caro Cazzullo, questo era un governo di larghe intese, trasformato in un accordo politico con una parte della destra e con un accordo – poi svanito – sulle 'riforme' con quasi tutta la destra.

Non ero d’accordo con questo schema, che non ha fatto altro che far crescere nel Paese un risentimento verso la sedicente sinistra. Non ero d’accordo con chi ha spiegato che si doveva puntare tutto su una leadership anche a costo di dimenticare parte consistente della propria storia e anche del proprio programma elettorale delle ultime elezioni. Che si era dimostrato insufficiente per ragioni completamente diverse rispetto a ciò che è accaduto dopo: era insufficiente in termini di credibilità e radicalità.

Non ero d’accordo con le riforme, bocciata quella costituzionale, da rifare quella elettorale. Non ero d’accordo con le politiche economiche basate su bonus e precarietà.

Curioso che oggi nessuno lo dica apertamente, nel momento in cui si vuole rifare il centrosinistra devastato da quelle politiche e da quelle scelte in questi anni.

Lo schema non regge più, ha concesso spazi incredibili a chi – tra mille contraddizioni – si è attribuito i temi della Costituzione, della democrazia, della questione morale, del cambiamento radicale. Della difesa degli ultimi.

Una scissione che si era già registrata nel 2013, che il renzismo avrebbe dovuto riassorbire (e invece il 5 stelle non è mai stato così alto) e che è stata negata ovvero assunta direttamente con i toni populistici della campagna referendaria del sì, anticasta e demagogica.

Da tempo ho cercato di spiegarlo, dentro e fuori il Pd, fino a uscirne perché non ritenevo più serio sostenere un governo che continuava imperterrito a fare le cose che faceva, senza alcun ripensamento. Anzi. Con tutta l’arroganza possibile. Che non mi pare affatto scemata.

Se si vota tra tre mesi, non sosterrò quel pacchetto. Non credo vincerà e in ogni caso non vedo alternative, come mi hanno detto per anni, gli strateghi che governano il Paese.

Penso che si debba rompere con quello schema, non allearvicisi. Che si debba cambiare completamente rotta. Che ci si debba porre altre domande e altri obiettivi, perché le domande (non solo le risposte) sono sbagliate e non corrispondono a quelle che si fanno gli elettori.

Penso che non si debba rivotare un centrosinistra che non c’è più, essendo diventato un grande centro, del potere, dell’establishment, della decisione dall’alto, dell'arroganza. Penso che si debba rivoltare quel modello. E che solo facendo così si possa tornare a parlare di qualcosa che una buona parte degli elettori possano trovare credibile. E possano tornare a fidarsi.

Penso che non si debba votare qualcosa perché altrimenti vincono gli altri: che è una forma di benaltrismo rovesciato. Il «meno peggio» apre la strada al peggio. E dopo vent'anni di antiberlusconismo, che il cosiddetto centrosinistra alleato della destra e diventato destrorso esso stesso, dica che bisogna votare anti, dopo aver governato per anni, è abbastanza sorprendente.

Senza quel passaggio di rottura e di vero rinnovamento culturale prima che politico, senza alcuna autocritica, senza alcuna revisione delle politiche che si sono fatte negli ultimi anni, immaginare di ricostruire il centrosinistra è semplicemente impossibile.

E il dibattito sulla sinistra, lanciato dalla Repubblica, è finto, come quella sinistra di cui parla. Che non a caso sulle altre pagine riparte da chi è stato al governo in questi anni. dalle correnti di questo o quel ministro (il partito del governo, come si diceva nell’Ottocento, e le correnti del governo), da chi ha votato tutto quello che non andava bene. E non ha nemmeno la decenza di ammetterlo.

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