Il ragionamento che trovate qui di seguito vale per qualsiasi governo si riuscirà a formare (mi porto avanti con il lavoro). Ed è semplice: la fiducia, che in questi giorni è al centro del dibattito, va chiesta solo il primo giorno (la prima volta, proprio quella che qualcuno vorrebbe escludere) e poi non va messa più. Perché la prima volta serve, checché se ne dica. Poi è meglio esimersi dal chiederla.

Lo dico ora che non abbiamo ancora cominciato. E chissà se ci riusciremo.

La considerazione è ovvia, fin banale: l’uso del voto di fiducia come strumento per congelare il Parlamento sotto la minaccia di andare tutti a casa è stato uno dei mali di questi vent’anni. Ha tenuto a galla i governi peggiori, per i motivi peggiori, quelli legati alla personale sopravvivenza della classe dirigente. Non sappiamo cosa succederà nei prossimi giorni, ma se davvero questa legislatura riuscisse a esprimere un Governo in grado di ottenere la fiducia in Parlamento, poi non la chieda più e non la metta sui singoli provvedimenti, come è stato fatto, a ripetizione, negli ultimi anni.

Si sottoponga alla verifica del proprio lavoro, giorno per giorno. Vada in Parlamento con le proposte che metterà insieme, facendole emergere proprio dal Parlamento, e le sottoponga al voto, come farebbe Obama con un Congresso a maggioranza repubblicana. Costringa noi parlamentari a decidere non in base al pericolo di elezioni e di perdere il posto, ma in base alla coscienza, al merito delle questioni, al sentimento e al bene degli italiani. Lo svolgimento di un mandato non ha a che fare col il tempo trascorso in Parlamento, ma con la capacità di usarlo bene.

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