Dirò e diremo no alle riforme costituzionali, per ragioni che riguardano la loro scarsa qualità, il loro carattere confusionario, la cultura politica a cui si ispirano, la riduzione della rappresentanza a cui porteranno (soprattutto se miscelate con il sistema elettorale prodotto dalla stessa maggioranza strettamente collegato con la legge di riforma costituzionale) e tante altre considerazioni che nei prossimi quattro mesi illustreremo (come in realtà stiamo facendo da tre anni).

Siccome però il referendum è vissuto come un plebiscito, un armageddon, una ‘finale’ e a detta del premier riguarda il senso complessivo delle politiche del futuro (a cui secondo la retorica governativa addirittura noi ci opporremmo) coglieremo l’occasione per ribadire una serie di no alle cose fatte recentemente e una serie di sì che invece intendiamo affermare: sì al significato universale dei diritti (a cominciare dalla cura e dall’assistenza, dalla scuola e dall’accesso alla cultura), sì al sostegno alla povertà e al reddito minimo, sì alla difesa dei diritti del lavoro (anche di quelli negati e addirittura sottratti in questi anni), sì alla giusta retribuzione, sì a un sistema rigoroso di controlli, sì al rispetto della Costituzione in particolare quando parla di progressività fiscale (e quindi di contrasto all’evasione e quindi di misure strutturali, non a colpi di bonus), quando descrive le condizioni che consentono il superamento delle disuguaglianze (per le donne, per gli omosessuali, per chi rischia, per chi concorre, per chi investe), la trasparenza dei processi decisionali, la pace.

Lo schema del nostro lavoro è e sarà il seguente: (1) perché diciamo no a queste riforme sconclusionate e scivolose, (2) cosa abbiamo proposto e proporremo di alternativo sul punto è, insieme, (3) quale progetto di governo – diverso dall’attuale – intendiamo promuovere in questi mesi e in quelli che verranno.

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