Era da un po’ che non frequentavo un accogliente salotto televisivo e la sensazione che ne ho tratto, più da spettatore che da interprete, è che al di là della conduzione e del format che non discuto, stessero tutti parlando d’altro.

Mi spiego: la situazione del Paese è rovinosa. I salari sono grotteschi per milioni di persone, le disuguaglianze esplodono, gli strumenti messi in campo si limitano sostanzialmente al blocco dei licenziamenti, nella speranza che tutto riparta. Per magia.

Si continua a parlare di corporazioni, a cominciare dai ristoratori, che benedetti siano sempre, ma hanno i tavoli pieni.

Forse e cancello forse il problema è più complesso.

E si dovrebbe rispondere con redistribuzione, investimenti strategici e diffusi (a cominciare dal clima), mettere una patrimoniale e allungare la progressività fiscale, introducendo un salario minimo.

Volete risorse che non ci sono. E legalizzate la cannabis, geni!

Inizio a non avere più parole per spiegare cose ovvie. E l’ovvietà può fare male, alla lunga. Perché le persone soffrono, non generiche categorie, lobby o rappresentanti di chissà cosa.

I lavoratori.

Resistenza, non resilienza.

Classe, non corporazione.

Ripartiamo dalle cose vere, non dalle chiacchiere. Pare che nemmeno una pandemia ci abbia dato la sveglia. Tutto business as usual. Senza business, peraltro.

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